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Una boccata d’aria per il nonno

Siamo andati a trovare il nonno che ha ottanta anni e abita a Città
Quattro, ridente quartiere periferico. La casa del nonno è in una salubre
posizione tra due svincoli della tangenziale, e lui è molto orgoglioso
perché per ben tre volte i Tir gli hanno sfondato il tinello, e tiene
tutti i ritagli dei giornali. Inoltre ha un comodo supermercato proprio davanti
a casa. L’unico inconveniente è che quando esce lo investono con i
carrelli.
Per il resto il nonno vive tranquillo, o almeno non si lamenta.
Ieri mattina, dunque, siamo arrivati davanti alla sua porta e si sentiva il
rumore di un film di guerra, evidentemente il nonno guardava la televisione.
Abbiamo suonato, ma nessuno apriva e, non avendo un Tir, abbiamo sfondato a
spallate.
Non era un film di guerra: il nonno era sul divano, tossiva, rantolava e
scatarrava a mitraglia come gli effetti speciali di Rambo.
Lo abbiamo portato subito all’ospedale. In astanteria ho riconosciuto due
signori che aspettavano la Tac con me nel 1994. Frequentandosi per tanti anni in
sala d’aspetto si sono innamorati e sposati, e adesso erano lì con tre
gemelli che aspettavano il test di gravidanza. Per fortuna noi abbiamo un cugino
infermiere molto potente che è a capo del racket dei lassativi, e ci ha
fatto passare davanti.
Un primo medico gentile ha esaminato il nonno, diagnosticando che aveva una
bronchitina, e che comunque a quell’età bisogna rassegnarsi.
Ma il nonno si è incazzato, ha roteato una flebo e il medico ha detto che
forse c’era bisogno di una visita specialistica. Siamo andati da un secondo
medico che ha subito chiesto se il nonno mangiava molte fiorentine, il nonno ha
detto magari, quindi si poteva escludere mucca pazza, poi gli ha fatto un esame
per vedere se aveva un danno neurologico da telefonino, anche se il nonno non ce
l’ha, poi gli ha chiesto se faceva footing o fitting o body sculpturing e il
nonno ha detto solo il flipper da giovane. «Male, male» ha sospirato
il medico, e ha aggiunto che la sintomatologia era anomala e comunque a
quell’età c’è poco da fare.
Il nonno ha scritto su un biglietto «aria», ha rubato il carrello dei
pasti all’infermiere e si è mangiato le razioni di purè di tutto
il reparto. Allora l’abbiamo portato dal neuropsichiatra.
Questo l’ha visitato per bene e poi ha detto che la malattia, come spiegava
tempo fa «Repubblica», nasceva dall’ansia del nonno di non poter
navigare in Internet, dalla tensione di non sapere l’inglese e forse anche da
uno stress per le oscillazioni dell’euro.
Il nonno ha rantolato «aria».
Il medico ha chiarito che con quella parola il nonno rivelava la sua
fragilità e volatilità, la sensazione di essere spazzato via in
una situazione di competizione di mercato, e la sua insicurezza di fronte
all’invasione degli extracomunitari. Poi gli ha chiesto se la notte aveva degl
incubi tipo un Tir che gli sfondava la casa.
Il nonno ha ruggito e ha fatto un casino da ventenne, bestemmiava, spaccava
fiale e ha ingerito tanto bario che poi ha cagato un paracarro. Lo abbiamo
portato al reparto pediatrico.
Qui abbiamo trovato un dottore che ha azzeccato la diagnosi. Il nonno vorrebbe
respirare un po’ d’aria, ma purtroppo l’aria non fa parte del concetto moderno
di benessere, è in antitesi col valore ben più alto della
mobilità automobilistica e del ciclo industriale. Non esistono allevatori
d’aria che fanno manifestazioni e soprattutto, siccome l’aria non si vende, non
sollecita interessi economici.
Infatti io ho pensato: se il miliardario pataccaro inscatolasse l’aria, certo
vedremmo la pubblicità in televisione, l’aria diventerebbe un bene
prezioso e se ne avrebbero tanti modelli e tante marche.
In quel momento ci siamo accorti che il nonno era scomparso.
L’abbiamo cercato dappertutto. Era finito in un reparto di sordidi vecchi
rantolanti. Uno aveva un bottiglione di aria di mare e lo passava agli altri, e
quelli tracannavano, si sbronzavano di ossigeno e cantavano canzonacce.
L’infermiera ha subito aperto la finestra per fare entrare smog, spremuta di
marmitta e polveri.
«Se si abituano a respirare, poi diventano pneunomani dipendenti» –
ci ha spiegato.
Abbiamo riportato il nonno all’astanteria, spiegando che aveva una sindrome
semplicissima, cioè aveva voglia di respirare, in una città dove
l’inquinamento è sedici volte sopra la norma.
«Cari miei, piacerebbe a tutti – ha detto il medico – ma in tempi di new
economy, respirare è sorpassato. Può fare altre cose. Collegarsi
in rete con un sito di alta montagna. Guardare la pubblicità delle
caramelle mentolate alla televisione. Andare in una boutique a comprarsi una
maglietta con le nuvole. Mettersi la maschera antigas di Valentino. Investire in
un polmone d’acciaio. Ma respirare, è un concetto antieconomico, se
cominciano i vecchi poi vorranno respirare tutti, anche gli
stranieri».
Gli ha prescritto un’aspirina e ha concluso: «E poi non esageriamo, per un
po’ di enfisema alla sua età».
Allora il nonno ha cominciato a fare un rumore di betoniera. Raspava dai polmoni
una colata di broncomagma e preparava la vendetta. Si è udito un rumore
di terremoto, le guance del nonno si sono gonfiate ed è partita una
scatarrata che per trenta secondi sembrava di essere sul ponte di una nave in
tempesta.
Quando tutto è finito, pareva che sui muri ci fossero i cadaveri di
dodici marziani, e il dottore sembrava una pastiglia Valda masticata. C’era muco
anche sul lampadario.
Il nonno è stato arrestato per attività respiratoria eccessiva e
continuata, catarricidio intenzionale e mancanza di trachea catalitica. L’hanno
portato in prigione. Lì almeno ha un’ora d’aria.

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