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Storia di un gangster

Frank Simpleton, uno dei più leggendari gangsters del dopoguerra,
è stato arrestato a Roma mentre scassinava un distributore automatico.
Spacciatore di droga, killer, rapinatore, Frank Simpleton era ricercato dall’Fbi
per duecentosessanta reati. Come mai è caduto cosi in basso?
“L’Espresso” ha chiesto a Simpleton di raccontare la sua storia in
questo articolo.
Ragazzi, ho visto la Chicago anni ’30 e il Panama del vecchio “Faccia
d’Ananas”, i ghetti di Los Angeles e gli spogliatoi di Juventus-Bologna, ma
giuro che non avevo mai visto tempi spietati come questi. Giorni fa alla tv
americana seguivo un notiziario per sapere qualcosa sui nostri ragazzi nel
Golfo. Cristo, c’erano quarantacinque minuti dedicati alla cessione del
giocatore di baseball Darryl “Fragola” Strawberry, e neanche tre
minuti sul mezzo milione di soldati in Irak. Allora sono andato a votare,
perché anche un gangster si indigna quando vede Bush che straparla di
Hitler roteando la mazza da golf. Il seggio elettorale era così vuoto che
sembrava il cervello di Casini. Ha votato un americano su cinque.
Che paese di merda, mi son detto, cambio aria e vado a fare una bella rapina in
Italia. Ho un sacco di amici a Roma, con cui tratto eroina, zippi e fnanziamenti
anticomunisti. Cristo! Sull’aereo leggo che in città stanno sfilando
cinquecentomila pensionati e duecentomila metalmeccanici. Con quel casino, addio
rapina. Beh, ci crederete? Quando sono arrivato nessuno ne parlava più.
Spariti nel nulla, cancellati, neanche fossimo all’Olivetti. Si parlava solo di
una bomba che non era esplosa in uno studio televisivo. In Italia è
strano: quando le bombe non scoppiano ne parlano tutti, quando scoppiano non ne
vuol parlar più nessuno.

Comunque mi scelgo una bella banca grassottella e telefono ai vecchi amici per
mettere insieme la banda. Cristo, se ne trovo più uno! Sono tutti
candidati per le elezioni, compreso il vecchio Jolly. Hanno messo insieme una
ciurma peggio del senato americano. Per darvi un’idea del livello, pensate che
Ciancimino ha detto: «No, con quelli lì ho paura». Pazienza,
ho pensato, andrò dai ragazzi della Gladio, quelli se c’è da dare
una mano all’America non si tirano indietro. Quand’ecco che leggo sul giornale:
“Scoperta la Gladio”. Cristo, stanno tutti in galera. Invece vado al
solito ritrovo, la palestra segreta Mortalrosso, e li trovo che giocano al
biliardo che gli ha regalato Andreotti con le palle che gli ha regalato
Craxi.
Mi spiegano che con la Gladio è scoppiato un gran casino e si parla di
«attentato contro le istituzioni», ma l’attentato si riferisce a
quelli che chiedono l’inchiesta. Beh ragazzi, robe cosi non le ho sentite
neanche in Cile. Come ultimo tentativo, telefono alla sede di Cosa Nostra,
nessuno lavora più nel ramo rapine. Uno fa l’imprenditore edile, l’altro
gioca in Borsa, un altro investe in sale cinematografiche e pornovideo, un altro
sta scrivendo la sua autobiografia per un editore. Allora, disperato, telefono
al boss. Mi dicono che Giulio è impegnatissimo, la mattina deve firmare
le copie del nuovo libro e il pomeriggio deve togliere la firma dai vecchi
documenti. Ma io dico la parola d’ordine: «Ho con me i dollari», e
subito me lo passano. «Ragazzi come ne vuoi tu», mi dice, «non
ce n’è più, Frank. In Italia i delinquenti sono tutti
sistemati».
«Ma capo, non posso farmi una banca da solo. Non sono mica
Craxi…».
«I tempi sono duri. Un giudice rompiballe voleva addirittura far
testimoniare il vecchio Kossy. Ce l’ha con lui, è pieno di
pregiudizi».
«Capo», dico io, «un giudice che pensa che un democristiano si
presenti spontaneamente in tribunale non è pieno di pregiudizi, è
pieno di grappa».
«Infatti. O Casson impara la “cultura dell’umiltà”, come
dice il Consiglio della Magistratura, o non vedrà il panettone, come dice
“Tutto-sport”. Entro Natale il fascicolo cambierà
allenatore…».

Mi viene un brivido nella schiena. La banda di Al Capone, in confronto a questi,
era un coro gregoriano. Come ultima chance, faccio un giro nel ghetto, avvicino
tre teppistelli e chiedo: «Bambini, qualcuno vuole fare un colpo in banca
con me?».
«Io no», dice il primo, «io spaccio eroina alle scuole elementari
Rio Bo».
«Io no», dice il secondo, «io vendo i nasi dei miei compagni di
scuola ai brasiliani che poi li trapiantano ai bambini ricchi con la
sinusite».
«Io», dice il terzo, «voglio diventare presidente della
Fiat».
«Bum», dico io.
«In un paese dove Pomicino è ministro, Casini è deputato e
Gelli può diventare senatore, io posso benissimo diventare presidente
della Fiat».
Il ragionamento non fa una grinza. Solo come un cane, vado a svaligiare una
macchinetta di preservativi. Mi bloccano quattro agenti di “Forbici”,
la polizia parallela del Vaticano, e mi arrestano per tentato aborto multiplo.
Ragazzi, che sogno era la Chicago anni ’30! Italia ’90 è troppo anche per
un gangster.

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