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STEFANO BENNI E IL SUO RICORDO DI DARIO FO

Sapevo da un po’ di tempo che Dario stava per uscire di scena.
La sua voce al telefono era roca e la sua allegria un po’ eccessiva, perché voleva rassicurarmi, come stava facendo con tutti. Ma pur sapendo, avevo fantasticato un magico cambiamento di copione. Immaginavo di vedermelo balzare davanti col suo metro e novanta di prodigiosa leggerezza. Come scrissi una volta: “Quando Dario si tuffa nel mare della scena, perde peso, è come se nuotasse nell’aria”.
Sognavo che mi sarebbe venuto incontro guarito, con un sorriso beffardo, per dirmi: “Ci sei cascato anche tu, sai quanto mi piacciono i colpi di teatro!”
Continuavo a sperare in un miracolo.
E di miracoli ne ha parlato tanto Dario, in quella sua religione dell’anima e del corpo che affascinava tutti, dai credenti ai laici.
Altri scriveranno di lui in tutto il mondo. Anche quelli che a lui non piacevano. Anche quelli che quando vinse il Nobel gridarono allo scandalo, anche quelli che gli hanno negato il piacere di dirigere un grande teatro. Mi consola pensare a una frase detta da Franca, poco prima di andarsene: “Abbiamo preso tante bastonate, e sofferto molte delusioni, ma ricordati che abbiamo avuto una bellissima vita”.
Ho sempre pensato a Dario come a un grande albero. Che allungava i rami verso il cielo, verso le invenzioni e le storie più fantastiche, ma stava ben piantato nella terra, nell’amore per il popolare, il volgare, la storia degli umili. La sua forza era nello stare saldo e non temere nessun vento, regalando frutti splendidi, amati o indigesti per tutti, attraverso le stagioni della storia italiana.
Era un albero antico, dolce e durissimo. Era un primo attore.

Solo Franca aveva l’autorità di correggerlo, di calmarlo, di frenarne la passione per il lavoro che travolgeva tutto e tutti. Era quasi impossibile stare dietro alla tempesta delle sue idee, ogni creatività arrancava, pretendeva da tutti una complicità e una dedizione assoluta. Lo sanno bene Jacopo, Nora e tutti quelli che lo hanno accompagnato nell’ultima scena e gli sono stati meravigliosamente vicino.

Mi mancherà il suo prendermi sottobraccio, la sua mano che tremava ma continuava a dipingere, i nostri baratti di libri ( ti dó un Ruzante per due Melville). Mi mancheranno le nostre passeggiate in Umbria , sul lungomare di Cesenatico, per le strade notturne di Milano. Mi mancheranno le sue lezioni di teatro, le canzoni a squarciagola, i suoi ruggiti, le sue rabbie. Mi mancherà soprattutto il suo sorriso in cui brillavano insieme spavalderia e umile ironia.
Mi mancherà un amico che sapeva dimenticare di essere famoso, e ti stava vicino come un fratello maggiore.
Ripenso al giorno in cui mi guidò attraverso una mostra dei suoi quadri. Di ogni tela mi spiegava l’ispirazione, la tecnica usata, il pittore a cui aveva pensato. Dopo un’ ora di questo fantastico viaggio, mi guardò e chiese quasi preoccupato “ ti sto annoiando?”
No Dario, vorrei ripetergli.
Non hai annoiato né chi ti amava né chi ti detestava.
Ci hai incantati.
Resti un grande albero, in qualche mondo che possiamo solo immaginare.

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