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Siluro, il grande naïf

Si – disse il vecchio contadino – il 1978 fu l’anno della caccia
al pittore naïf.
In città si era sparsa la voce che nella nostra valle c’era un’alta
percentuale di ignoranti che dipingevano: perciò ogni domenica
arrivavano Land Rover piene di critici d’arte.
Entravano nelle case e chiedevano:
– Scusi, lei dipinge?
– No – rispondevamo – guido il trattore.
I critici ripartivano lanciando feroci occhiate di disprezzo.
Mercanti d’arte e collezionisti setacciarono la nostra campagna per mesi,
ma la trovarono «refrattaria a ogni fermento creativo».
Una campagna – dicevano con disprezzo – che non produce
che rape e frumentone! Uno scandalo.
Fu così che venne dalle nostre parti il critico Omar Marchese,
grande cacciatore di naives. Era lui che aveva scoperto Barella,
detto il «Tintoretto di Viadana», il contadino che
aveva affrescato cento soffitti di stalle, nonché nonna Egle,
la «Cezanne di Comacchio», che con le sue pere quadrate
aveva «vertiginosamente ripercorso l’itinerario artistico del
Novecento» anche se lei continuava a dire che non erano pere
ma fette di polenta.
Era sempre Omar Marchese che aveva scoperto il grossolano falso di
Gesualdo Rosolino, il pittore di maiali selvaggi rivelatosi poi
nient’altri che Borruso, il noto pittore romano che si era travestito
da pastore per piazzare alcuni vecchi quadri.
Omar Marchese prese a scorrazzare in lungo e in largo nella valle,
dicendo che sicuramente lì si nascondeva qualche esemplare
di pittore naïf, perché il paesaggio era ignorantissimo e
pittoricamente assai stimolante. Dopo una settimana però non
aveva trovato nulla, e i suoi colleghi cominciavano a sogghignare.
Omar Marchese batté, uno per uno, i cascinali più sperduti.
Non trovò che calendari e riproduzioni di fiamminghi omaggio della
Banca Agricola. Arrivò persino a giudicare «interessante»
una scritta su un muro: «Piadine e vino metri cento» giudicandola
opera di hip-hop art di un kid locale. Finché un giorno l’esimio
critico entrò nel bar del paese e vide in bella mostra un quadro
raffigurante alcuni giovanotti su un prato verde.
Bene, bene – disse lisciandosi i baffi – un «déjeuner
sur l’herbe» reinterpretato ingenuamente, ma con una certa audacia
dello schema compositivo, che alterna figure in piedi a figure
accovacciate… opera stimolante… chi l’ha dipinto?
– Io – disse pronto il barista.
– Lei è rozzo e ignorante?
– Rozzo e ignorante come un rospo – rispose quello.
– Un vero naïf dunque… e… come si chiama l’opera?
– Sogno in bianco e nero.
– Non male – disse Omar Marchese esaminando il dipinto da vicino
– realista nei volti e nelle anatomie ma surreale, direi quasi
transavanguardiale nella scelta dei vestiti a righe che ricordano Rousseau
e poi quella soluzione del bianco e nero, quasi un oltraggio che
l’ignoranza dell’artista fa alle nevrosi policromatiche delle cosiddette
ricerche colte…
– Trecentomila ed è suo – disse il barista.
– È un affare! – bisbigliò il critico a un suo
collezionista.
Fu così che per trecentomila lire comprarono la foto della
formazione della Juventus 1975-’76.

***

Dopo quell’incidente nessuno venne più a cacciare naives dalle
nostre parti.
E dire che ne avevamo uno bravissimo. Ma tanto matto, e burbero, che guai
se lo avessimo indicato ai critici: ci avrebbe sbranato. Era il famoso
Girolamo, detto Siluro perché aveva due baffi a manubrio e una testa
gigantesca, proprio come il pesce gatto siluro.
Viveva pescando rane nei maceri e rivendendole ai ristoranti. Passava ogni
mattina nel paese con un grande sacco gracidante. Se qualcuno lo prendeva
in giro gli diceva:
«A te tra un anno ti picchio». E dopo un anno lo ritrovava e
lo riempiva di sberle.
– Nella pesca e nella vita – diceva – ci vuole pazienza.
Prima o poi le cose arrivano.
Siluro dipingeva fin da bambino: faceva dei quadretti a matita, tutti con
lo stesso soggetto:
il tramonto sul monte visto dalla finestra di casa.
Dopo qualche anno cominciò a disegnare il fiume e la valle.
– Sei maturato artisticamente – gli disse la maestra.
– No – rispose lui – sono cresciuto mezzo metro e adesso
riesco a vedere al di là del monte -.
A diciotto anni la mamma gli regalò dodici acquerelli Giotto e
Siluro cominciò a dipingere sul serio. Andava sulla riva del macero,
con una mano pescava e con l’altra dipingeva. Anzi non con una mano, con
tutto: con i gomiti, con i piedi, dava delle gran ginocchiate di rosso e
linguate di verde e alla fine non si distingueva più lui dal quadro.
Dipingeva dei bellissimi pesci appena gli venivan su dalla lenza;
poi smise di colpo.
– Non stanno mai fermi – disse -.
Poi son stufo di dipingere della roba che muore.
Smise di pescare. Solo ogni tanto prendeva con la rete una carpa e la
metteva in un catino.
Stava ore a guardare le sfumature color oro e fango sulle scaglie, il
lustro sulla testa, le linee della coda.
E guardava ore e ore il macero, ogni variazione di luce e colore,
anche due giorni e due notti, come in trance.
Quasi non mangiava più ed era ormai solo testa e baffi.
Molti avrebbero comprato i suoi quadri, ma lui non li vendeva e diceva:
– Nei miei quadri non c’è il buio e la luce, il giorno e la
notte; non sono veri.
– Ma Siluro – gli disse il suo amico Bigattino, che era pescatore
e quindi paesaggista – un quadro non deve essere vero, deve fare
pensare!
– A me fa pensare quando c’è la luce e poi buio
– rispondeva cupo Siluro.
Sempre più magro e triste cominciò addirittura a stare con
la testa sott’acqua per vedere i colori del fondo, gli vennero i baffi
verdi di melma e da un momento all’altro temevamo di vederlo apparire
trasformato con le branchie e la coda. Poi un giorno passò
nel paese urlando «ecco l’idea, ecco l’idea!».
Corse a casa, lavorò una settimana e inventò una macchina che
battezzò silurolumiera. Era un sistema di lampadine dentro a uno
scatolone, le lampadine ruotavano e cambiavano la luce, la luce uscendo da
un buco del cartone si rifletteva sul quadro.
Così sul dipinto s’alternavano l’effetto di alba e tramonto e notte,
come nei presepi meccanici.
Siluro dipinse il laghetto, e colse così bene ogni sfumatura
dell’acqua, delle piante e dei riflessi degli alberi che sembrava di
potercisi tuffare dentro, e la gente stava incantata a guardare, con
la silurolumiera che cambiava la luce. Ma Siluro non si accontentò,
scuoteva la testa e diceva:
– Va un po’ meglio, ma è sempre bel tempo.
Manca la pioggia e la nebbia.
Allora Talpa l’idraulico gli inventò un marchingegno a doccia che
sprizzava un temporalino sulla tela, e con l’acqua bollente faceva anche
i vapori di nebbia.
Siluro guardò a lungo e poi sospirò – Sì.
Ma mancano i pesci.
Nel macero c’è il pesce che nuota, la biscia che sguazza,
la ranocchia che salta.
Qua è tutto immobile. Non ci siamo.
– Siluro! – disse Talpa – Tu vuoi eccedere in realismo!
– Fanculo – rispose Siluro – mi deve piacere a me.
Dopodiché sparì per sei mesi, si chiuse in un capanno e
quando ne uscì era stravolto e di tutti i colori, ma con il trionfo
sul viso.
Ci chiamò e ci mostrò il suo nuovo lavoro. Un quadrone di
sei metri per tre con un laghetto bellissimo, si vedevano perfino le
zanzare e le ombre di ogni foglia e le ranocchie ferme, si sentiva
addirittura gracidare.
– Bello! – disse Bigattino – e per il rumore delle rane
come hai fatto? Con un disco?
– Come no – ghignò Siluro – vacci più
vicino.
Il pescatore si avvicinò e spalancò la bocca tre volte
la carpa più grossa che avesse mai preso.
Nel quadro adesso c’era lui, riflesso nell’acqua!
– Diavolo di un uomo – disse – come hai
fatto? – Non è tutto – disse orgoglioso Siluro
– qualcuno vuole provare a pescare?
Si fece avanti Bruni, il re della pesca al lancio, l’uomo che con l’amo
poteva pettinare una zanzara in mezzo al lago. Disse:
– Non ci credo neanche se lo vedo.
– E allora perché non provi?
– Un vero pescatore ci prova anche nella vasca da bagno – disse
Bruni, lanciò l’amo sul quadro e, non si sa che colori o materiali
avesse usato Siluro, fatto sta che l’amo andò giù e il
galleggiante rimase su, sospeso nel blu dipinto.
Siluro ridipinse il galleggiante di giallo, perché stonava con gli
altri colori, e poi disse:
– Aspettiamo un po’. Ci vuole pazienza.
Prima o poi le cose arrivano.
Tra pescatori questa frase è superflua. Passa un’ora, passano due,
qualcuno sbuffava e diceva, sembriamo diventati tutti matti, ma Bruni
stava fermo, immobile a puntare il galleggiante e alla terza ora il
galleggiante balla un po’ e poi sprofonda nel quadro e il Bruni tira
su una bella carpa colorata, verde e gialla.
– Eccezionale – disse Bruni – almeno un chilo.
– Ne ho dipinte quindici – disse con noncuranza Siluro
– qualcun altro vuol provare?
Da allora il quadro di Siluro è diventato uno dei laghetti
più pregiati della zona. Il pesce che ne vien fuori è
buonissimo, anche se Siluro si rifiuta di dipingerci aragoste
perché non sarebbe serio. Ma, chiederete voi, perché
non si è mai sentito parlare in città di questo quadro
miracoloso?
La risposta è semplice: quando i pescatori trovano un posto buono,
non lo dicono a nessuno.
E come fece Siluro a dipingere il suo impossibile capolavoro?
Anche questa risposta è semplice: con la pazienza,
prima o poi le cose arrivano.

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