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Pantani il doping nelle orecchie

IL DOPING sta rovinando lo sport. Basta aprire la televisione e guardare un qualsiasi
processo del Lunedì per rendersi conto dei danni causati dall’abuso di sostanze
stupefacenti. Giornalisti che urlano, si insultano, si alzano in piedi in preda a crisi
motorie, danno sfogo a sindromi paranoidi di persecuzione ai danni di squadre e singoli, si
azzuffano per ore con gli occhi sbarrati senza dare segni di stanchezza. È un triste
spettacolo a cui ci stiamo abituando. Ma il doping è un problema anche di altri
settori dello sport, anche se come spesso accade, se ne parla soltanto quando tutti lo
sapevano già, perché parlarne quando non lo sapeva nessuno toglie il gusto di
poter dire che tutti lo sapevano e non parlavano.

NUOTO – Per lungo tempo è stato di moda l’emodoping, ovvero cambiare il sangue ai
nuotatori.

È NOTO che ai tempi delle grandi vittorie della Germania Est, il preparatore atletico
della squadra non viaggiava sull’aereo con la squadra, ma nel bagagliaio dentro una bara, e
nessuno lo ha mai visto prima di mezzanotte. Ci furono casi in cui i nuotatori furono
gonfiati con aria, per migliorare il galleggiamento. Questo durò fino all’olimpiade di
Seul. In quell’occasione i tre primi arrivati di una gara, una volta sul podio, si misero a
scoreggiare come zampogne, e per mettergli la medaglia al collo fu necessario zavorrarli.
Attualmente il settore è sotto controllo, ma c’è il caso di una nuotatrice
irlandese che da un anno all’altro è diventata la migliore del mondo, con pochi
effetti collaterali, se si eccettuano trenta chili di muscoli in più e la pinna
caudale.

TENNIS – Alcuni tennisti come Becker e Noah hanno ammesso che nel loro sport molti atleti
tirano cocaina. Il gioco a due mani è stato inventato dagli allenatori per evitare
che con la mano libera i giocatori potessero sniffare durante gli scambi. In alcuni club
molto chic le righe che delimitano il campo non sono di gesso, e durante la partita vengono
completamente annusate. I giocatori si dividono in giocatori da erba (marijuana), da terra
rossa (hascisc) da sintetico (ecstasy). Gli italiani sono giocatori da cemento, nel senso
che nella Federazione tennis quando uno si attacca alla poltrona non lo schiodi
più.

CAVALLI – Le “bombe” ai cavalli fanno parte della storia di questo sport. Si va da
quelle semplici, come il peperoncino sotto la coda, a quelle più potenti come la
simpequina, il Ribotil e la minaccia di farli cavalcare da Pavarotti. Nel mondo delle
scommesse, se un giorno non c’è nessuna gara truccata, tutti protestano dicendo che
c’è sotto qualche trucco.

ATLETICA – L’esempio più famoso fu quello dello scattista Ben Johnson, la cui massa
muscolare aumentava a vista d’occhio e fu scoperto perché, dopo aver vinto i cento
metri alle olimpiadi, non riuscì più a passare dalla porta dello spogliatoio.
Poi c’erano le atlete dell’Est che si distinguevano dai mariti solo perché usavano
il rasoio elettrico invece che quello a mano. Ultimamente c’è stato il caso delle
fondiste cinesi che hanno battuto vari record mondiali grazie a una zuppa speciale
inventata dal loro allenatore. Il problema è quello di correre con la pentola al
collo.

CICLISMO – Ed ecco le dolenti note. Tutti sanno che le borracce dei ciclisti sono piene
di ogni tipo di droga. Si va dalle più semplici, come le bibite energetiche o il
frappè al cotechino usato da Prodi, all’Epo e ai cocktail farmacologici dei
professionisti. Ci sono ciclisti che, in discesa, tengono la bocca spalancata per ingoiare
il maggior numero di insetti possibile. Altri hanno finti sostenitori che, con la scusa di
spingerli in salita, gli fanno le punture al volo. Dentro le ammiraglie ci sono intere
farmacie, e addirittura all’inizio della corsa si dà ai corridori l’elenco di quelle
aperte per turno la domenica. Al Tour la polizia francese è intervenuta decisamente,
anche se dal modo in cui si è comportata, sembrava molto più impasticcata lei
dei corridori.
Giusto scandalizzarsi per le droghe, ma ancora di più bisognerebbe scandalizzarsi per
i grandi spacciatori di falso sport, i gangster americani padroni della boxe, le manovre
dietro ogni olimpiade, i procuratori pataccari, i seminatori di miliardi in nero, le corse
truccate, le pressioni degli sponsor, l’invadenza della televisione che detta ritmi e
farcisce di spot ogni evento. Perché contro queste sciagure non c’è cura
adeguata, mentre contro il doping c’è l’esempio dei campioni. E siamo lieti di unirci
alla beatificazione di Pantani, campione simpaticissimo che abbiamo seguito fin da piccolo,
quando il papà si rese conto del suo talento perché col triciclo scalava i muri
di casa.
Già a quindici anni Pantanino saliva in bicicletta a San Marino dal lato dove non
c’è la strada, perché se no era troppo facile. Sembrava avviato a una luminosa
carriera, ma gli si abbatté addosso un’ondata di sfiga che avrebbe schiantato un
plotone di duecento ciclisti. Per alcuni anni la sua maggior forma di sponsorizzazione
furono le firme degli amici sui gessi. Ma il campione romagnolo ha lottato e ha scalato
Cima Scalogna grazie a un piccolo segreto, una innocua forma di doping che siamo lieti di
svelare. Sapete perché il pirata porta il fazzoletto sulla testa? Perché dietro
alle poderose orecchie nasconde due piadine, che la mamma gli attacca con la macchina da
cucire.
Quando Pantani ritiene che sia il momento di scattare, si leva il fazzoletto, aspetta che
la telecamera si allontani e si spara le due piadine. Al prosciutto per le salite medie,
al salame piccante e cipolla per le salite ripide, alla rucola per la discesa. A cronometro
non riusciva a rendere perché, proprio come fanno i bambini con la merenda scolastica,
mangiava le piadine all’inizio e poi sveniva di fame. Adesso ha imparato a dosarsi. Quando
lo vedete soffrire, non è perché è in crisi, è perché
la mamma gli ha fatto le piadine troppo calde e gli bruciano le orecchie.
Abbiamo svelato solo ora il segreto di Pantani per evitare che la polizia francese
intervenisse e che Ullrich corresse ai ripari facendosi costruire una bicicletta speciale
col telaio in wurstel. Perciò, viva Pantani che ha vendicato la nazionale di calcio.
Viva Pantani che non si è montato la testa e siamo pronti a scommettere che non se
la monterà mai. Viva Pantani che a fare duecento chilometri con cinque salite ci
mette meno che un automobilista a fare la Bologna-Rimini con sette ingorghi. Viva Pantani
che fa vestire di rosa confetto e giallo squillante le ladies in nero e i rudi bagnini.
Viva Pantani che ci regala una sana ventata di politeismo pagano nel monoteismo annichilente
del Dio Calcio. Viva il Piccolo Uomo Dalle Grandi Orecchie che, anche se foderato di scritte
di sponsor, ci fa ancora illudere che nello sport, a differenza che nella politica, quando
uno vince non diventa subito un manovriere del compromesso, ma va ancora all’attacco. Venti
piadine prosciutto e peperoncino al tavolo dell’Ulivo, please.

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