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Padrone e servitore

Scena. Il salone di un palazzo decadente. Nel camino arde un ceppo. Su una poltrona, un vecchio in vestaglia. Entra Pulcinella, con un pezzo di pane e una cipolla.



PULCINELLA Conte, la cena.

CONTE Grazie, servo. E tu hai mangiato?

PULCINELLA Non mi ricordo.

CONTE Come sarebbe a dire che non ti ricordi?

PULCINELLA Ho mangiato, ma è stato tanto tempo fa che non mi ricordo più.

CONTE Vedo che non perdi la tua ancillare sapidità. Ma ci sono cose ben più importanti del mangiare.

PULCINELLA (sospirando) Forse ci sono, ma non le conosco.

CONTE Allora te le spiegherò. Ti racconterò cosa vuole dire servire un padrone, e ti riempirò la testa di tanti nutrienti e saporiti concetti che la fame ti passerà.

PULCINELLA (sedendosi a terra) Sarà…

CONTE Ordunque servire non è necessariamente umiliarsi, adulare, ruffianare, cancellare le proprie idee e la propria dignità. Servire viene da serbare, conservare e salvare. Fare qualcosa per qualcuno conservando nel medesimo tempo la sua, ma anche la tua integrità.

PULCINELLA Come ad esempio mangiare insieme?

CONTE Zitto! La storia patria è storia di imperi e servitù, principi e vassalli, generali e caporali. Eppure la figura del servo, ben impersonata da te o dal tuo amico Arlecchino, è storia di servi intelligenti e astuti, che il destino costringe a vendere i propri servigi, ma non l’anima. Essi restano liberi per quanto possono, e la loro cultura non si annulla imitando quella del padrone, poiché essi non tradiscono mai la loro origine, la loro popolanza.

PULCINELLA La popo che?

CONTE Ho inventato una parola dal nulla. Sono conte e posso tutto.

PULCINELLA (speranzoso) Non potrebbe dal nulla creare una pagnotta?

CONTE Zitto! Questo è il buon servire, che nasce dal bisogno e non dal desiderio del potere. Il buon servire che può talvolta generare indifferenza o fatalismo, ma mantiene sempre aperta la scintilla della rivolta, della beffa, del possibile riscatto. Ma ahimè c’è anche il cattivo servire, che uccide l’onore e nasconde delitti, tradimento e vergogna.

PULCINELLA Ma è assai ben retribuito…

CONTE Forse, ma non è questo il punto. Ordunque, se tu leggessi questo libro del Navarra vedresti come, in anni bui che il nostro paese pensava di non rivedere più, un uomo qualunque servì l’uomo più potente del suo tempo. Il servitore non aveva la tua loquacità e la tua furbizia, e il padrone non possedeva la mia cultura e la mia tolleranza, eppure nel loro rapporto si scorge qualcosa di interessante, per la storia di allora e di ora.

PULCINELLA Si spieghi…

CONTE Questo è il diario di un uomo che ha vissuto a lungo a fianco di un dittatore. Noterai che nel suo libro non c’è astio ma neanche esaltazione, né condanna né nostalgia, né complicità né disprezzo. Se ciò sia avvenuto per rispetto, o per vergogna, o astuto calcolo, è argomento per polemiche vecchie e nuove. Ma tu ben sai che di questi tempi i servitori usano pubblicare diari ben più spregiudicati e irrispettosi. Sui gusti sessuali dei loro padroni, sui loro vizi, sui loro intimi liquami e sciacqui: e così diventano miliardari sputtanandoli. E grazie alle spie del video, di ogni vip conosciamo le piccole cose, poiché grandi non ne fanno. Ma soprattutto, al tempo d’oggi i dittatori della politica e della finanza hanno centinaia di servi che scrivono le loro agiografie, che mentono insieme a loro, falsificano per loro i conti e corrompono per loro i giudici, avendone in cambio poltrone e privilegi. E sono pronti, una volta caduto il dittatore, a saltar sul carro, o sulle frequenze del nuovo, per nuove menzogne e nuovi vantaggi. Bene, non troverai questo spirito nel diario.

PULCINELLA Cosa allora?

CONTE Un racconto. La storia di una solitudine, forse. Morti e delitti appena sfiorati, piccinerie e vezzi che occupano più spazio del tuonare di un cannone, forse l’ombra di una colpa: c’ero ma non ho visto nulla. Ognuno potrà naturalmente applicare a queste pagine la sua ideologia e i suoi ricordi, decidere se il protagonista ne esce arricchito o immiserito. Ma a me interessa guardare fuori dalla finestra di quel palazzo romano. Ed ecco le figure, le comparse, le sfilate, le maschere del cronico conformismo italico, la ruffianeria e la caccia al privilegio, le recite del consenso. Certo una volta bisognava travestire i poliziotti da braccianti, e sorvegliare gli spostamenti del duce. Oggi un tiranno può nascondersi dietro una videocassetta, senza neanche andare tra la gente.

PULCINELLA Credo di sapere perché.

CONTE Tu?

PULCINELLA Come lei ha detto, Conte, c’è chi serve per bisogno, e chi per scelta. C’è una dignità che anche un servo non lascia calpestare. Quando questa dignità non appartiene più neanche ai potenti, chi la insegnerà ai sottomessi? Se permette, Conte, si può essere liberi anche con la maschera da servo, mentre l’Italia è sempre stata piena di servi mascherati.

CONTE Tu mi stupisci.

PULCINELLA Perciò io e Arlecchino siamo maschere della povertà, della furbizia e del compromesso, ma manteniamo la nostra ironia e la nostra vitalità. Ciò non si può dire del moderno teatrino telecomandato che ogni italiano possiede in casa.

CONTE Bravo. Ma non esagerare: sta al padrone definire la servitù. Ci sono servitù volgari e vocazioni a servire con walseriana leggerezza, servi plautini e maggiordomi albionici, Xantia e Leporello. Ma esiste soprattutto una storia dei rapporti affettuosi e sodali tra padrone e servo. Leggi queste righe dal Werther di Goethe:

Oggi non mi è stato possibile andare da Lotte, me lo ha impedito un impegno inderogabile. Che potevo fare? Le ho mandato il mio servo solo per avere vicino a me una persona che oggi fosse vicino a lei. Con quale impazienza sono rimasto ad aspettarlo, con quale gioia l’ho visto ritornare. Gli avrei preso la testa tra le mani per baciarlo, se non mi fossi vergognato.

Si racconta della pietra di Bologna che, esposta al sole, ne trattiene i raggi e poi la notte, per qualche tempo, riluce. Mi pareva fosse successa la stessa cosa al servo. Il pensiero che gli occhi di lei si fossero posati sul suo volto, sulle sue guance, sui bottoni del vestito e sul bavero del soprabito, lo rendeva così sacro dalla testa ai piedi, così prezioso. In sua compagnia mi sentivo così bene.

PULCINELLA Conte, bellissime parole. Ma questo servire era assai diverso, e forse non più di moda. La retorica della virile vulva, dello spezzar le reni e dell’ebreo infame aveva bisogno di ben altri ordini e rinunce alla libertà. E così lo strapotere economico e le nuove armi dei moderni duci.

CONTE Ben detto. Ma non tutto è cambiato. Io sono un padrone illuminato, lo riconoscerai.

PULCINELLA Certo, ma attenzione. E’ facile riconoscere il padrone malvagio e i suoi delitti. Ma a volte grande magnanimità e cultura nascondono un padrone assai più subdolo, un disprezzo mascherato. Esistono padroni illuminati, ma la loro è vera luce?

CONTE Questo tuo dire non mi piace.

PULCINELLA Essendo quindi il nostro paese da sempre diviso tra prepotenti e disposti al servilismo, sarebbe ora di immaginare un futuro diverso, una libertà da questo. Ma non dobbiamo sperare troppo, vero?

CONTE Esatto. Stai al tuo posto e portami da bere. E guai a te se scrivi le tue memorie e scopri i miei altarini.

PULCINELLA Vedo che la sua illuminazione si sta facendo fioca.

CONTE Servo impertinente, fuori dai piedi. Cercherò subito un filippino!

PULCINELLA E io un editore (scappa).



(Dalla prefazione al libro di Quinto Navarra
“Memorie del commesso di Mussolini”)

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