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La bella favola del Giro

Per ventidue giorni, un’ora e mezzo al giorno, lo schermo tv è invaso dal Giro d’Italia. È una tradizione che si rinnova: da anni ormai la Tv preferisce fare il processo alla tappa piuttosto che il processo alla mafia. E sappiamo vita morte e miracoli di ogni chilometro del Giro, senza vedere quasi nulla, se non qualche cartolina turistica, dei paesi che attraversa.

Cos’è il Giro? Una festa dello sport, naturalmente. Lontano da noi l’idea che sia ormai soltanto una gigantesca baracca pubblicitaria, un circo sponsorizzato di cui la Tv è il perno.
Prendiamo la nona tappa: Amalfi-Latina. La partenza, come al solito, è in una «ridente cittadina». E la tappa, come sempre, andrà avanti tra «gaie località» e «paesi che sorridono sul mare». Se sentite sghignazzare, è la periferia di Caserta. Oggi i corridori non hanno voglia di impegnarsi. Procedono a passo d’uomo e così, dice il telecronista, si possono cogliere «aspetti pittoreschi e insoliti della carovana». Essi sono, nell’ordine: due ciclisti che pedalano a braccetto, un altro che, incurante del rischio, tiene le mani incrociate sul manubrio, e dieci minuti di polpacci assortiti. C’è anche il solito corridore che è di quelle parti che lo lasciano andare avanti a vincere il traguardo volante davanti alla casa della mamma, magari alla fine del Giro scopriranno che è svizzero e che ha salutato false mamme in otto paesi diversi.

La «carovana» è un gigantesco supermarket pubblicitario. Le macchine tappezzate, gli striscioni, le scritte sull’asfalto, e i corridori così tatuati di scritte e slogan da sembrare edicole. A venti chilometri dal traguardo scappano due cucine componibili, un gelato, una caffettiera, due polizze d’assicurazioni e uno che ha il torso da materasso, e le braghine da termosifone. Il gruppo è a un minuto. Intanto il sindaco di Latina dice che la sua è la città «della giovinezza e della bellezza». Provate il contrario.

Sul rettilineo, sommersi da uno sciame di macchine e moto della polizia, i corridori lanciano lo sprint finale. Lottano spalla a spalla una cucina e un gelato, e la cucina, che all’anagrafe fa Paolini proprio negli ultimi metri, là dove sull’asfalto inizia la pubblicità dei termosifoni, taglia per primo lo striscione della banca, mentre sullo schermo appare la marca dei cronometri, e subito due energumeni, con ben scritta sulla maglietta la marca di uno spumante, lo afferrano e lo costringono a ingurgitare pubblicamente il loro prodotto. Intanto la maglia rosa, un belga, si mette un berrettino con la scritta più grossa e sale sul palco, dove, tra due vallette-acqua minerale, rilascia la seguente dichiarazione: «Io avere visto lui scattato ma dopo che andare noi tutti di dietro poi preso Panizza più che io detto tu perché non tirare dopo che poi rimasto staccato non so che mie gambe un poco molle speriamo domani che salita molto difficile che visto Moser molto buono che anche che Giro che duro». Seguono interviste analoghe per ventidue minuti.

Non mancano naturalmente: 1) lo sfortunato che mentre scattava gli è arrivata una vespa in un occhio, o del cellophane nel cambio, o gli ha attraversato la strada un orso bruno; 2) il malato che dall’inizio ci ha la bronchite; 3) il giovane che gli dispiace di non aver vinto perché il patron se lo meritava. Segue quindi una rubrica, Giro ring, che riprende la stessa solfa in chiave «ironica», però purtroppo l’ironia è in fuga, e ha già staccato la rubrica di almeno otto minuti e mezzo. C’è un servizio sul dopo-tappa dei corridori, dove inutilmente speriamo di vederli apparire come esseri umani. Da esso appare che le tre cose fondamentali che i corridori fanno nel dopo tappa sono l’imitazione di Mike Bongiorno, il ballo di Jerry Lewis, e la calza. Quindi c’è il solito processo confidenziale al solito gregario. All’inizio questi reagisce, spera di essere trattato come un essere intelligente, poi cede. Tutto si spegne in un pettegolezzo da cena aziendale. Fine.

Anche per oggi ce l’hanno fatta. È dura, per far vedere più scritte, berrettini, dover tirare tutti i giorni per un’ora e mezzo, quello che si potrebbe esaurire in un quarto d’ora. Ma così, conclude lo speaker, «si rinnova la bella favola del Giro». E vissero insieme felici e contanti.

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