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Il generalone pensa a te

La televisione ha già una nuova vedette: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. I telegiornali si sono riempiti con enfasi dei «duri colpi» che il generalone-peso massimo ha inflitto ai terroristi, hanno annunciato con rispetto che non potevano dare notizie perché il generale stava lavorando e non voleva essere disturbato, e infine, dopo mesi di silenzi, interrogativi e figuracce nascoste, hanno dato la stura ai te-telegrammi di congratulazione.

Dietro le immagini, si intuiva come colonna sonora l’ouverture del Guglielmo Tell, e molti funzionari dei partiti dell’accordo che saltavano su e giù per le sedie come quando al cinema arriva John Wayne a cavallo.

Addio critiche, addio riflessioni: il generale è ormai l’uomo della provvidenza. Dal suo aereo privato che vola sopra l’Italia, egli tutti ci vede e controlla, perché ha la delega in bianco. Pensate che garanzie libertarie dà: è un generale, nipote di generale, un cognato generale, un fratello generale che lavora alle Assicurazioni generali, uno zio generale e un cane che si chiama Cadorna. Vivono tutti insieme: e quando l’attendente-tuttofare urla «il generale al telefono», si creano ingorghi nei corridoio e scene di panico.

Ma tutto si perdona a uno che dà i «duri colpi», anche se questa frase l’abbiamo già sentita nel 1975 e poi regolarmente ogni due mesi negli anni a venire riferita magari alla mafia o al traffico d’eroina. Preferiremmo annunci del tipo «duro colpo alle Br: una svolta politica garantisce nuovi posti di lavoro» oppure «duro colpo al terrorismo: bloccato il mercato delle armi». Ma pazienza: ormai la vita militare sembra l’unica possibile. Guai se, in televisione, la polizia appare in modo diverso da una schiera di automi.

Proibito parlare di sindacato, proibito entrare nelle caserme e parlare di diritti e discutere di regolamenti incredibili come il codice militare, o di carceri militari. I poliziotti devono essere mostrati o con le armi sequestrate nella brillante operazione o alla sfilata durante la quale passano sulle moto in piedi su una gamba sola e saltano nei teloni, e alla fine il comandante ha tenuto un breve ma significativo discorso. Quando poi muoiono, tornano uomini. Servono così. Tanto, a comandarli c’è il generalone che può fare tutto quello che gli pare senza rendere conto a nessuno. E poi passare le veline.

Un anarchico toscano ci scrive che lui è d’accordo con la proposta di dare un’ora alla settimana a una trasmissione sui diritti civili nel mondo e in Italia, dove possano parlare in diretta parenti e associazioni. Dice anche che non è ottimista. Anch’io non lo sono, perché i primi tentativi di coinvolgere qualcuno nella proposta hanno avuto come risposta dei prudenti «pensiamoci bene».

Pensiamoci: ma se siamo convinti che parlare di libertà e diritti elementari per tutti sia essere complici e fiancheggiatori, non stiamo fermi: andiamo indietro. La televisione crea indifferenza, e l’indifferenza non è neutrale. E già l’indifferenza sembra totale nei confronti di ciò che succede in Iran, in Nicaragua, in Tunisia, in Cambogia. Figuriamoci se non c’è questo pericolo per noi, sottoposti a questo bombardamento di notizie che suggerisce «dormi, non pensare, non sono cose che ti riguardano, tu sei nella legalità, dormi, il generalone pensa per te».

È triste pensare che, dopo tutte le dichiarazioni televisive (ve le ricordate?) che bisognava cambiare e che l’Italia non sarebbe stata più la stessa, dello choc in parte sincero dell’affare Moro siano rimaste non molte cose. Questo gioco di letterine lasciate sotto al piatto a Natale, con relativa smentita, le interviste Bodrato Pavolini Zanone Signorile Pavolini Bodrato Zanone Bodrato eh no, toccava a me!, è vero, ricominciamo, alla Signorile Bodrato eccetera.

E, per finire, queste immagini dal fronte di case, strade, cartine di guerra con bandierine che localizzano l’esercito nemico, covi, armi, foto segnaletiche che vorrebbero far credere che il malessere italiano sia solo un problema militare, e che un giorno il generalone possa venire al posto di Pertini, a leggere il bollettino delle operazioni e ad annunciare trionfalmente a un esercito di disoccupati: «abbiamo vinto». E quelli in coro «cosa?».

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