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C’era tristezza nel golfo di Napoli

Ieri, con gli amici al bar, ricordavamo quando l’ltalia organizzò
i Mondiali del 1990. Quanto tempo è passato! O almeno sembra
passato. Mi ricordo che c’era un telecronista, mi pare si chiamasse
Pittul, o Pinul. Quando finì la partita con l’Argentina
pronunciò la celebre frase: «C’è tristezza
nel golfo di Napoli». Poi gli venne un tale magone che non
riuscì a dire più nulla. Sfondò a testate il monitor
e non si riprese più.
Ricordo il tecnico azzurro, si chiamava Adelio Viciani. Era rubizzo,
dicevano che per indovinare la formazione mettesse la testa in un forno
a microonde. Per un mese fu considerato un genio, e ogni mossa che faceva
era miracolosa. Poi contro l’Argentina fece giocare Vialdi. La sua mossa
fu definita: «Tristissimo episodio» e «suicidio
incomprensibile». In poche ore passò da genio a pirla.
C’erano due giornalisti in televisione. Uno si chiamava Bacardi, aveva i
capelli rossi e, se ricordo bene, non era italiano. L’altro si chiamava
Breda, andava a vapore, e diceva sempre due o tre cose contrarie ogni
minuto cosi dopo poteva dire che l’aveva detto. Erano la coscienza critica
dei Mondiali sulla critica Raitre. Furono loro a dire che il calcio
è un gioco, bisogna saper perdere, ma Zenca doveva pagare. Zenca
non aveva parato i rigori degli argentini che si chiamavano Burruzangui,
Ortozedazeabal, Oigochemonechea e Maradonza. Zenca si difese
dicendo che quello era il Mondiale con il gioco piu brutto della
storia, figurarsi se lui doveva parare i rigori. Ma la corte fu spietata
e lo condannò a morte.
Dissero che era impossibile che un paese come l’Argentina, con un’economia
pezzente, un presidente che sembrava Little Tony e pochissime cabine
telefoniche, potesse non perdere da un impero imprenditoriale guidato
da un ganzo come Matarrese che regalava telefoni portatili ai nostri
calciatori.
Sì, c’era molta tristezza nel golfo.
Matarrese si riprese i telefoni e li rivendette agli americani, insieme
allo stadio di Genova con i pezzi numerati, ma quelli, quando lo
rimontarono, ci fecero un bowling.
Mi ricordo alla televisione la tribuna Vip. Tutte le dive che dicevano
«come sono sexy i calciatori», poi
sposarono regolarmente degli industriali. Agnelli che aveva comperato
Bangio e Schillaci e Haller non riuscì a vincere il campionato
neanche quell’anno, e per la rabbia licenziò mezza Fiat.
Gufo di Montezemolo dopo il Mondiale non combinò più niente
e finì con l’organizzare cacce al tesoro. La Fenech lo
mollò per fidanzarsi con un certo Milla. Il segretario della
Federcalcio Pertucci fu licenziato ma nessuno se ne accorse mai.
C’era tristezza nel golfo. La Corte dei Conti indagò sui 10 mila
miliardi scomparsi ma Matarrese rispose: «Noi siamo qui a piangere
una persona cara e voi ci parlate di soldi?». L’inchiesta fu
archiviata. I turisti non arrivarono mai, e gli alberghi rimessi
a nuovo con i miliardi statali languirono.
Anche gli sponsor caddero in disgrazia: una petroliera della Ip si
scontrò con una nave cisterna della Gatorade e ne nacque una
macchia di tossicità mai vista. I rutti delle balene in agonia
riempirono l’oceano. Moroder incassò 90 miliardi di diritti
d’autore, quasi quanto Gianni Boncompagni, ma dovette restituirli tutti
perché si scoprì che “Notti magiche” era copiata
da un testo medioevale greco.
E i giocatori? Dopo la fucilazione di Zenca e l’esilio di Vialdi alcuni
ebbero fortuna, altri no. Malvini ebbe sette figli tutti calciatori,
Bergomi gioca ancora, Bangio aprì una scuola di calcio buddhista
in Tibet ma perse subito tutti i palloni a fondovalle.
I più colpiti dalla tragedia nazionale furono i poveri tifosi,
quelli che con la “Gazzetta dello Sport” gridarono “Italia
Nooo”, quelli il cui sogno s’era infranto, quelli che volevano dire
«azzurri grazie lo stesso» e invece bestemmiarono per anni e
tornarono più juventini e rossoneri e interisti che pria. Fu dura
per loro.
Mi ricordo che quando vendettero le zolle dell’Olimpico, mio padre ne
comprò una. Mia madre la scambiò per uno sformato di
spinaci e ce la fece mangiare con la besciamella. Allora papà si
involtolò in un bandierone ultima moda, un tricolore gigantesco
con sopra Schillaci, Vicini e Madonna, e uscì a caccia di
tedeschi.
Per fortuna in quel momento giunse la notizia che Bartali aveva vinto il
tour e tutto si placò. Ma forse non ricordo bene.
Erano tempi duri, c’era tristezza nel golfo. Ricordo però che
diedero la colpa della disfatta all’arbitro, al fuorigioco, a Zenca, a
Vialdi, a Vicini, a un sugo di maccheroni sbagliato, alla preparazione
atletica, al medico, alla pressione della stampa.
La Nazionale fu affidata a un certo Baudo. Ma forse sbaglio. Ricordo solo
che il presidente del Consiglio era lo stesso di adesso, e il presidente
della Repubblica era Gelli, o almeno lo diventò di lì a poco.
È passato molto tempo da allora.
C’era tanta tristezza nel golfo, e anche tanto colera.

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