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Calcoliamo il Pil con biglie e figurine

C’è una domanda a cui i governi della terra, siano essi tecnici, politici o catatonici, devono rispondere se vogliamo avere fiducia nel futuro. La domanda è: qual è l’unità di misura dell’economia? Non esiste scienza, conoscenza o contratto che possa prescindere da un sistema di misura. Nella microeconomia anche la compravendita di una mucca lo pretende.

Io compro seicento chili di mucca, alta un metro e mezzo e che fa trenta litri di latte al giorno. Non vale lo stesso per l’economia globale? Riproponiamo allora il problema: qual è l’unità di misura dell’economia? Le Agenzie di rating? Per carità, sono in contrasto tra loro, hanno intimi contatti con gli speculatori, sanno solo minacciare e declassare, sono le guide Michelin della sfiga delle nazioni. Allora decidiamo che l’unità di misura è il Pil? Neanche. È una cifra difficile da calcolare e soprattutto da prevedere, viene in continuazione toccato e ritoccato. Un’unità di misura non può essere in balia di tutti come un culo su un autobus. Lo spread? No, col suo nome da bomboletta moschicida, nessuno sapeva che esistesse fino all’anno scorso. Come fidarsi di un’unità di misura di cui abbiamo fatto a meno per secoli? Il default? Vedi spread. Prendiamo allora gli indici di borsa. Ma sappiamo bene che essi crollano e rimbalzano sotto la spinta della paura e dell’emotività. Un’unità di misura deve esser precisa, non viscerale. Non posso chiedere: mi dia un litro di latte, ma un litro fiducioso, non un litro preoccupato. Dobbiamo cercare altrove. Le banche? Non sanno neanche farci capire cosa dobbiamo lasciare prima della porta girevole, possono forse spiegarci l’economia mondiale? La moneta? Ma non scherziamo, ogni Paese ne può stampare quanta ne vuole, neanche i falsari ci credono più. Le riserve auree? Già è rischioso girare per strada con un Rolex d’oro, figuriamoci con le tasche piene di lingotti. Il barile di petrolio, allora? No, basta andare in autostrada per accorgersi che dieci benzinai hanno dieci prezzi diversi.

Non avendo trovato nessuna soluzione, siamo costretti a inventare nuove unità di misura. Ad esempio l’evasione fiscale. Se un Paese ha una enorme evasione fiscale, allora è un paese dove si guadagna, quindi è ricco. Ma sorge un problema. Se un governo vuole ridurre l’evasione fiscale, significa che vuole impoverire il Paese? Qualcosa non quadra. Proviamo col gelato. Un cono gelato costava dieci lire poi venti poi cinquanta poi cento, poi è salito a due, tre euro, fino a cinque con puffo e pistacchio, con punte di dieci euro seduti al tavolo e settanta a Cortina. Possiamo stabilire un nesso preciso tra costo del gelato, inflazione e redditi. È quindi una buona unità di misura, infatti nei paesi del terzo mondo si mangia poco gelato. Ma appare subito una complicazione: i cinesi, ovvero l’economia più fiorente, non mangiano molto gelato. Basta fare un giro per Pechino guardando i volti dei bambini e appare chiaro che hanno una gran voglia di gelato. Quindi, ahimè, neanche questo dolce alimento può misurare l’economia globale. Potremmo tornare alla nostra infanzia, quando noi bambini giocavamo per strada mentre il piccolo Monti chiuso in casa studiava Keynes. Torniamo alle biglie e alle figurine, da sempre unità di misura di ogni baratto e scambio. Ma come immaginare un governo serio che dichiara: «La Figurina italiana è solida, anche in rapporto alla Biglia tedesca». Ci serve qualcosa d’altro. Un’economia, potremmo dire, è tanto più solida quanto più se ne parla, quindi l’unità di misura dell’economia è il decibel. Ma le discussioni sull’economia sono, nei bar e nei media, irosamente discordanti, quindi imprecise. Cerchiamo allora una definizione più scientifica: un’economia è tanto più fiorente quanto maggiore è il numero degli economisti necessari per farla funzionare. Se un Paese ha un governo tecnico con quindici economisti bocconiani, è quindici volte più florido di un governo di quindici puttanieri. Ma sono vocazioni diverse, a volte sovrapposte, comunque difficili da misurare. Dobbiamo scartare anche questa ipotesi. Diciamo allora che l’unità di misura dell’economia di un Paese è la media dei libretti universitari dei laureati alla Bocconi presenti nel governo. In questo caso l’unità di misura italiana sarebbe vicino al ventinove e mezzo. Ma non funziona, c’è anche il Parlamento. Basta uno Scilipoti o un Gasparri, l’unità di misura precipita e con essa l’economia.

Dobbiamo purtroppo prendere atto, alla fine delle nostre considerazioni che non esiste un’unità di misura dell’economia. E ciò che non può essere misurato non esiste, come dicevano gli antichi greci e come dice la Goldman Sachs quando le chiedono dove tiene i soldi.

Anche il governo tecnico quindi non esiste e questi fantasmi ben vestiti che ora reggono la nostre sorti non sono che chimere, miraggi di un riscatto impossibile. Tanto vale andare alle elezioni anticipate. E se fosse questa la soluzione, l’ultima unità di misura? Cioè la data di scadenza di un governo tecnico, come quella scritta con numeri precisi sullo yogurt. No, non illudiamoci. Anche questa misura è nelle mani del mercato e della politica, quindi aleatoria. Ma un nuovo pensiero ci turba. Esiste un’unità di misura della politica, quindi esiste la politica? Ne parleremo alla prossima puntata.

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