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Andreot e Bearzotti

Mezzanotte. Siamo qui, davanti al televisore a colori di Pietro che si chiede stupito perché da due settimane è così simpatico a tutti. Luigi si fa una fleboclisi di caffè. Giorgio ripassa la formazione dell’Iran, perché dopo lo interrogo. Nino e Sandra si sono addormentati e sono fuori gara, appena alla partita numero otto. Ma io tengo duro e ho gli occhi ben aperti.

Non prendo più appuntamenti, non esco più, guardo e mangio insieme. Ho già ingoiato due forchette, una scatola di stecchini e una pepiera di mogano, e mi sono strangolato col cibo dodici volte. Ma non perderò un minuto, un passaggio, un’azione. Un gol poi, mai. Ieri Nerio è andato a pisciare di corsa, traversando tutta la casa con le braghe calate: nei venti secondi che era lontano dal televisore, ha segnato il Brasile. Sta ancora piangendo. Io, per ogni evenienza, ho con me il pappagallo.

Tra prima rete e seconda rete ci sono più di sessanta ore di partite. Cinque giorni interi. In più, sette «speciali» sul Mundial, con sigla al samba. Tutti i gol rivisti e commentati. Una giuria televisiva eleggerà il «supergol». C’è il premio «cronometro d’oro» per il gol più veloce. Ci sarà anche il «premio Duse» per il calciatore che farà la miglior scena madre per avere un rigore, e il premio «Ordine pubblico» per il più efficace calcione nelle gambe. Se l’Italia batte la Francia, il Radiocorriere e una casa di gelati regalano un fiordifragola a tutti gli italiani. Poi i dibattiti, i flash, la moviola. Non devo perdere niente. Devo tener duro.

Penso agli azzurri in Argentina. Altro che prigionieri politici. Loro sì che sono prigionieri. Sempre chiusi dentro all’Hindu Club, non possono uscire, non possono ricevere visite. Li torturano anche, sono sicuro. Ho letto che hanno i letti troppo corti. E poi sono sempre lì con la tensione di non sapere se giocano o no. Smentite, dubbi, polemiche. Noi ci lamentiamo della disoccupazione, ma ci pensate che nella squadra azzurra c’è il 50% di disoccupati? Per undici col posto sicuro, ce ne sono undici che non giocano. Noi ci lamentiamo della stangata di cinquantamila lire e loro, se non si qualificano, perdono dodici milioni. Ho visto Andreotti quando salutava all’aeroporto la squadra che partiva. Ha detto che il calcio è una delle poche cose che funziona in Italia. Perché non offre il ministero dell’Interno a Benetti?

Mi si chiudono gli occhi. Devo resistere. Ieri ho avuto un incubo. Guardavo un film della serie tv dell’orrore, c’era un castello buio, si vedeva la bara di Dracula che a mezzanotte si apriva, e il vampiro che correva per i corridoi e piombava sudato a sedersi davanti al mio televisore e chiedeva «quanto stanno, ancora zero a zero?». Vedo calcio dappertutto. Ai telegiornali, ormai, sento dire il presidente del consiglio Andreot e il commissario della nazionale Bearzotti. Calcio nel tabellone dei quiz. Calcio alla Tv dei ragazzi. Io vedo tutto. Per fortuna, non la fanno tanto lunga con questa storia del regime di Videla. Va be’, ci sono 3.500 giornalisti argentini accreditati, magari ci sarà in mezzo anche qualche poliziotto. C’è qualche prigioniero sparito, un po’ di tortura, ma dove non succede, ormai? Oddio. Mi si chiudono gli occhi. Il caffè. Dov’è la damigiana col caffè? Che partita sto vedendo?

Entra mia moglie, dice che c&rsquoè da pagare l’affitto. Uffa, proprio adesso, sai che problema. Pensa a Farina, il presidente del Vicenza, che non sa come fare a pagare i due miliardi e mezzo di Paolo Rossi. Cosa vuoi che sia l’affitto, capirei una rata di Cuccureddu. Via, via che c’è un rigore. Cosa me ne frega del resto? Referendum? Sì o no? Chi lo vincerà? Il Brasile, naturalmente. La stangata? Vuoi dire quel tiro di Rivelino? Oh basta! Via da davanti alla tv. Vale la pena di pagare il canone più alto d’Europa per tutto questo ben di Dio. Ecco, anche Pietro si è addormentato ed è eliminato, ma io tengo duro.

Se vinciamo, ci sono dodici milioni per gli azzurri e un fiordifragola per me. Sono rimasto sveglio. Resisto. E con questa sono dodici ore di calcio. Altre quarantotto e ce l’ho fatta. È dura. Ma, come dicono Andreot e Berzotti, senza sacrifici non si esce dalla crisi.

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