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Moro l’ha rapito Zorro

Tre mesi dopo la morte di Moro, è difficile trovare nei telegiornali qualcosa di più di un breve flash sulle indagini. Tutto sembra sommerso, dimenticato. Di tutte le interviste, inchieste, collegamenti, dibattiti, resta qualche ripresa da lontano di una villetta di Focene e la notizia di uno di quegli arresti alla cieca che tutte le volte promettono «la svolta» delle indagini. La verità è che, se si volesse fare un’inchiesta o un dibattito televisivo serio, salterebbe fuori con chiarezza che queste indagini (e molte cose prima del rapimento) sono state una mostruosa prova di inefficienza, di errori, ritardi e omissioni rappezzate con arresti assurdi e grandi «scoperte» che si sgonfiano in un giorno. Comprensibile il «riserbo» degli inquirenti e della televisione, e lo stillicidio di notiziole messe qua e là, che danno al telespettatore un quadro della situazione che possiamo così riassumere:

1) In media un italiano su tre ha corso il rischio di tamponare Prospero Gallinari che stava provando i freni di una «128». Le assicurazioni stanno certamente studiando un’apposita polizza che copre i rischi di uno scontro con un brigatista in esercitazione.

2) In ogni appartamento italiano c’è del materiale «interessante». Dovunque siano le perquisizioni, non si riesce più a far uscire dalle case i carabinieri, tanto sono presi da quello che trovano. Dagli elenchi del telefono ai Playboy vecchi, dai mitra alle ceramiche d’arte, tutto gli interessa, guardano e leggono tutto e bisogna scuoterli per le spalle se no non vengono più via.

3) Dopo ogni perquisizione in questura si diffonde un certo ottimismo e nei casi più riusciti Rognoni propone una spaghettata.

4) Il rapimento Moro era nell’aria. Anzi il rapimento Moro era largamente previsto. Anzi da anni tutti erano stupiti perché Moro non era ancora stato rapito. C’erano sospetti e segni premonitori. Almeno quindici persone che sostavano in permanenza sotto lo studio del leader dc con baffi finti e occhiali neri. Davanti, una clinica dalle cui finestre finti malati puntavano binocoli. Prospero Gallinari che andava e veniva frenando e accelerando e facendo le inversioni a «U» vestito da suora. Inoltre tre settimane prima di via Fani c’era stato uno scippo a Di Bella, due uomini mascherati avevano cercato di catturare Fanfani chiudendolo sotto una tazza e tre brigatisti avevano cercato di portar via Craxi per strada con il gancio di un carro Aci.

5) Tutti quelli arrestati finora sono uomini chiave ma non troppo, sono quelli della sparatoria ma forse no, sono della colonna romana ma un po’ periferici, fiancheggiatori ma non proprio di fianco. Della gente che scompare, dei trasferimenti incredibili, dei soprusi dentro le carceri speciali, non si sa più niente. Tanto sono tutti brigatisti.

6) La prigione di Moro era sicuramente in una villa a Focene, o in una baita ad Aosta, o nell’ambasciata cecoslovacca, o in via Gradoli, o altrove.

7) Corrado Alunni, Prospero Gallinari, Pietro Sicca e Zorro sono la stessa persona.

8) Per fare il colpo le Br hanno impiegato 115 donne bionde.

9) Le indagini sono a una svolta.

Il tutto vuole dire che, fino a ora, non si ha il coraggio di dire alla gente quello che ha capito benissimo, e cioè che questa storia è stata tutta un susseguirsi di figuracce, errori e ritardi. Ed era logico, dopo dieci anni di misteri mai risolti, in cui il potere ha permesso e voluto polizia e servizi segreti inefficienti, corrotti e in parte apertamente anti-democratici. Si poteva pretendere che tutto cambiasse di colpo? Ma facendo vedere qualche mitra sequestrato su un tavolo, e due identikit di pericolosi brigatisti che dopo qualche giorno dovranno esser rilasciati, creando «mostri» e dando notizia di 200 perquisizioni, si spera che l’opinione pubblica se ne stia buona. E, finito lo show della commozione e della finta umanità, si cerca di cancellare tutto, ma ci sono cose che non si cancellano. Le Br e perché ci sono. La polizia, e perché non ha funzionato e non funziona. I misteri d’ Italia, e perché solo pochi li conoscono, e quei pochi non vogliono che gli italiani ci guardino dentro.

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