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Fine del Grande Impero

Cosa è successo al grande Impero Tecnocalcistico, quello che
costruì stadi ciclopici e immense segnaletiche, le cui armate di
poliziotti sgominarono gli ultras di venti nazioni, le cui feste Vip
illuminarono di lusso la platea mondiale, nei giorni gloriosi in cui il
danaro scorreva a fiumi, la retorica tracimava, Nord e Sud erano uniti in una
meravigliosa prova di efficienza e su tutto brillava, provvida cometa, la stella
di Totò Schillaci? Tutto è perduto, immiserito, crollato.
Negli stadi l’erba marcisce, i calciatori sembrano giocare in una palude, o nel
muschio di un presepe, e a ogni calcio volano zolle, lombrichi e imprecazioni.
Di quella colossale opera tutto sembra svanito, compresi i soldi: Montezemolo,
dove li hai messi, chiedono tutti. Ma il Gufo tace altezzoso, è tornato
nella bara con aria condizionata da dove era venuto. E dove sono i nostri
soldati che affrontarono gli uligani inglesi, la marmaglia olandese, la teppa
gaelica e la Wirbelsturm germanica? Essi si ritirano sconfitti, il Sud
dell’Italia è in mano a bande di tifosi di tutt’altro tipo, che sparano
ai bambini e ai giudici, senza neanche chiedere di che squadra sono. Il ministro
dell’Interno Gava, che ai tempi del Mundial sembrava Alessandro Magno, si
è volatilizzato. Del massacro che insanguina il Sud non gliene cale.
A cosa si deve questa trasformazione da fulmine di guerra a inetto, da stratega
a lungodegente? E perché noi ci teniamo questo ministro che tutti
rimuoverebbero a calci in culo dalla Colombia all’Alaska? E dov’è finita
la meravigliosa unione Nord-Sud, sabotata dai dispetti dei Ku-Klux-Brothers,
Formigoni e Bossi, che non perdono occasione per farsi pubblicità
sputtanando Garibaldi, Mazzini, I’inno di Mameli e l’origano, ma si guardano
bene dal parlar male di Gelli? E che succede ai nostri imprenditori, che da
principi del mercato si sono ridotti a un branco di accattoni lamentosi? E la
meravigliosa cultura italiana, che portò nell’etere gli acuti di
Pavarotti e di avverbi di Biscardi?
Annega in festival mafiosetti e marcescenti, in premi letterari dove ormai il
problema è non trovare il premiato doppio o triplo come nelle figurine. E
dove sono i Vip, scaduti da esclusivi a ossessivi, alla deriva in feste sempre
più desolate con opinion cockers, scarti di intellettuali e frattaglie di
contesse, e in cima al tutto Andreotti come corona funebre.
E i nostri poveri ambasciatori, senza luce, senza gas, embargati anche loro,
ridotti a mangiarsi la carta del salmone? E dov’è, a proposito, il nostro
animo guerriero? Come mai, dopo aver fornito supercannoni, radar, elicotteri e
colubrine, i nostri mercanti d’armi e politici da trincea si sono messi
sull’attenti davanti a Bush, il presidente part-time che ha capito che, da
quando fa la guerra, tutti si sono dimenticati la macchietta che era?
Perché non siamo più il Grande Impero e siamo tornati l’Italietta?
Forse sappiamo dove è iniziato il declino. Tre sono stati i grandi
avvenimenti mondani dell’estate. Il primo, il matrimonio fallito di Sandra Milo
con un sommozzatore cubano che l’ha mollata non appena l’ha portata a riva e
s’è reso conto che non era un’anfora. Il secondo è il record di
Manca: centosedici feste senza che nessuno abbia capito che cazzo ci faceva lì.
Ma l’avvenimento top è stato l’incontro sull’isola di Cavallo tra
Schillaci e Vittorio Emanuele.

Si narra che Totò, invitato con un biglietto (“Sua Maestà
l’attende a Cavallo”), si sia presentato con giacca rossa, stivali e speroni
nonostante i quaranta gradi all’ombra. Chiarito l’equivoco, Re Vittorio lo ha
subito invitato a una battuta di caccia al tedesco, che Totò ha
rifiutato. Poi gli ha offerto di far pubblicità ai suoi elicotteri con lo
slogan “Totò e Agusta: i falchi di guerra italiani”. Infine,
davanti a una montagna di aragoste bianconere e spiedini di cincillà, gli
ha fatto la proposta: se tu mi aiuti a tornare re d’Italia, io ti do il regno
delle Due Sicilie. Totò non ha dormito quella notte: anzitutto, si
chiedeva, qual è l’altra Sicilia? E poi, era proprio adatto a fare il re?
Da allora non è più stato lo stesso. Invano Maifredi gli racconta
barzellette e Baggio gli legge Haiku. Totò guarda nel vuoto: lo sguardo
infuocato che abbagliò le folle, è triste e spento. Questo
è il prezzo crudele della gloria. Senza la provvida cometa, l’Impero ha
cominciato a languire, l’erba a marcire e Vicini è caduto dalla finestra.
Ma coraggio Totò: sapevi giocare prima e tornerai a giocare bene.
Invece non sapremo mai dove Matarrese e Montezemolo hanno dilapidato quei
miliardi. E sappiamo da sempre perché con Gava la mafia non sarà
sconfitta. E i Romiti e i Mortillaro ci hanno abituato da anni a queste bugie da
accattoni e questi ricatti. Noi siamo consenzienti. Siamo un regimino, neanche
da terzo posto.

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