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L’Impero finito

Nell’anno duemilaedodici il presidente americano George Bush sonnecchiava
a bordo del suo yacht sul lago della Casa bianca. Lì aveva traslocato i
suoi uffici da quando le Grandi Piogge del 2008 avevano sommerso la sua
residenza, insieme a metà degli Stati Uniti. Guardò il paesaggio con
un binocolo. Con un gesto stizzito convocò l’attendente, il vecchio
Tony Blair, in divisa da maggiordomo e pinne.
— Blair, vedo un’isoletta con albero circa un miglio a sud-ovest.
Come mai non è stato preventivamente abbattuto? Sai che odio gli alberi!
— Presidente — disse timidamente Blair —
è l’ultimo ciliegio. La sua signora vorrebbe fare le marmellate per
l’inverno.
— Macché marmellate e marmellate. Si comincia con le marmellate
e ci si ritrova con gli arabi in casa — disse Bush. Fatelo abbattere.
E non dite che le alluvioni sono dovute al disboscamento o
all’inquinamento! Fate fuori quel sovversivo e le sue ramificazioni.
Blair prese una sega, si spalmò di catrame anti-caimano e nuotò
lentamente verso l’isoletta. Bush sbuffò. Era molto infelice. Aveva
ormai arraffato tutto il petrolio del mondo. Aveva raso al suolo l’Iraq,
la Norvegia, l’Arabia Saudita, il Venezuela, la Groenlandia e la Cina.
Eppure non gli bastava.
— Ci vuole una guerra preventiva — sospirava. Senza una
nuova guerra preventiva, che ragione preventiva ha di esistere il mio paese?
Senza un nemico, chi mi darebbe preventivamente credito? Eppure tutto sta per
finire. Petrolio, nemici, automobili, missili. E anche l’aria.
Tossì rumorosamente, prese una lenza e provò a pescare qualcosa.
Ma l’acqua limacciosa non prometteva nulla di buono. Tirò su un
pesce rosso, una pantegana mannara e qualcosa che sembrava Schifani con le
squame. Li ributtò nel lago disgustato. Depresso, si lasciò andare
ai ricordi.
— I miei vecchi amici sono tutti finiti male
— pensò — Colin Powell è morto in una rissa,
nella fila davanti a un benzinaio. Cheney è morto durante il
bombardamento dell’Onu, lo avevo avvisato ma si è attardato a
rubare nei cassetti. I ragazzi della Enron hanno fatto harakiri. Il dirigente
della mia filiale europea, mi sembra si chiamasse Berlottoni o Berlusconi, ha
avuto la sorte peggiore. Dopo essere stato sostituito alla guida del Polo da un
certo Rutelli, è stato cacciato via in malo modo. Il suo avvocato Previti
gli ha portato via Arcore e tutte le ville sarde, e lui si è ridotto a
vivere in un ovile di Orgosolo. Quando le pecore hanno cominciato a ricattarlo
ha capito che era finita. Blair vive al mio servizio ma è completamente
rincoglionito. E i miei nemici? Saddam è vecchio bacucco e vive in un
bunker a settecento metri sotto terra, chi l’ha visto dice che sembra una
gigantesca talpa. Bin Laden è morto undici volte, il mullah Omar si
è schiantato in moto a Indianapolis. Schroeder e Chirac li ho convocati
in America per chiedere perché ce l’avevano con me, ma sono morti
durante l’interrogatorio. Putin era ibernato su una Soyuz in orbita ma si
è scontrato con la frigoastronave che trasportava Bill Gates e Ronaldo e
sono esplosi tutti. In quanto ai cinesi li ho rasi preventivamente al suolo con
un atomica intelligente che uccideva solo gli uomini sotto il metro e sessanta.
Avrei dovuto avvertire Silvio, ho ancora un po’ di rimorso. Blair riemerse
dall’acqua col volto coperto di alghe.
— Non è un albero, signor presidente
— disse — è un distributore di benzina
abbandonato.
— Che tristezza! — sospirò Bush —
maledetta energia solare, che ha soppiantato il mio amato petrolio.
Blair non commentò. In realtà il petrolio era esaurito da tempo e
l’energia solare era assai scarsa, dato che pioveva trecentosessanta
giorni all’anno. Infatti George e Tony erano infagottati in pellicce
sintetiche e lo yacht funzionava con un nuovo tipo di propulsione ecologica.
— Pedala, che ci spostiamo — disse Bush —, come
va Wall Street?
— Bene, bene — mentì Blair. Le borse mondiali erano
state chiuse molti anni prima, da quando l’indice Nasdaq si era conficcato
nel sottosuolo come una trivella ed era scomparso.
— E la guerra preventiva contro il Vaticano, come procede?
— Vinceremo. Su tutte le televisioni del mondo c’è il
fotomontaggio di Wojtyla che sta strozzando un cocker.
— Quanto petrolio potremo arraffare?
— Tre stufe e almeno 12 accendini.
— Grande — disse Bush, e si mise a pedalare energicamente
sull’acqua torbida, da cui emergeva ancora la vecchia bandiera issata sul
tetto della Casa bianca. Tuoni e lampi scuotevano il cielo.
— Vedi Tony — disse George — se vinciamo col
Vaticano, e poi troviamo una nuova guerra da prevenire vincerò le prossime
elezioni. Come vado nei sondaggi?
— Benissimo, il sessanta per cento è d’accordo con la
sua politica.
— Sono calato, ero all’ottanta.
— Signor presidente, si fa presto a fare i conti. Nel nostro paese,
dopo trecento guerre in un decennio, la popolazione è ridotta a cinque
unità. Lei, sua moglie, sua figlia, io che ho preso la cittadinanza
americana, e il cuoco negro comunista Jerome. Lui ha sempre votato contro. Ma
adesso anche sua moglie le vuole negare il voto.
— Per via della marmellata?
— Sì. Ma credo sia anche innamorata di Jerome.
— Quindi si impone una scelta. Devo uccidere Jerome? Ma nessuno
cucina la nutria tonnè come lui. E poi, chi sarebbe l’altro
candidato alla presidenza?
Blair distolse lo sguardo e aumentò il ritmo della pedalata.
— Tony, dimmi la verità, credi ancora che la mia politica
preventiva abbia migliorato le condizioni del mio paese, dell’occidente e
del mondo intero?
Blair non rispose. Un’anaconda saltò garrula fuori dall’acqua, in
lontananza si alzò la nube di polvere di un grattacielo abbandonato e
stritolato dalle liane. Il cielo divenne nero pece. George capì che anche
l’ultimo alleato lo stava abbandonando. Prese Blair per le ascelle e lo
buttò preventivamente in acqua. Il vecchio Tony aveva imparato a nuotare
a Cambridge, ma questo ai caimani non interessava. Bush scese nella cabina dello
yacht. La figlia beveva grappa di alghe e ascoltava rock comunista. Sua moglie e
Jerome si rotolavano infarinati sul tavolo di cucina. George prese il suo
vecchio fucile. Si udì un colpo, poi un altro, un altro e un altro
ancora. Il giradischi continuò a suonare Dylan.
Così finì l’impero del Bene.

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