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Il leone mangia, in Kenya

Eravamo lì ancora in canottiera quando, grazie alla Tv, il presidente Leone è improvvisamente entrato in tutte le case. Come di regola in questi show in diretta il tono era alla buona, e sottointendeva una lunga familiarità con i telespettatori. Il buon nonno. Si sa che il linguaggio tv del potere normalmente è del tipo «ragazzo, lasciami lavorare»; ma quando c’è bisogno di voti, di sacrifici o la si è fatta troppo grossa, si passa al «solo tu puoi capirmi». E giù baci sulla testona del popolo.

Con questo addio, Leone è stato all’altezza della pubblicità «la stangata fa bene» di Andreotti, alle prediche di «ascolta si fa sera» e al miglior Aurelio Fierro. Dicono che prima della trasmissione fosse molto emozionato. Gli hanno dovuto cambiare due volte il trucco e due volte i pantaloni. Era così emozionato che, alla fine, è sbottato dicendo che era tutta una congiura e che la sua caduta è stata causata dalla violenta e implacabile campagna condotta contro di lui dalla Tv. A ciò quattro cameramen sono caduti dalle postazioni per l’ilarità, e un nastro di risate registrate si è messo in moto da solo.

Leone ha insistito dicendo che non solo la Tv ha dedicato ai suoi scandali ore e ore di trasmissioni, ma che in un documentario sull’ Africa, un lunedì, lo speaker ha chiaramente detto: «Il leone mangia molto e più volte al giorno», al che Grassi, che stava guardando, ha subito telefonato di mettere in sovraimpressione la scritta «in Kenya».

Viva è nei telespettatori l’attesa per l’elezione del presidente in diretta. Ci saranno due grandi novità: per la prima volta il colore, e per la prima volta il presidente dovrà essere assolutamente onesto. Questo ci pone all’avanguardia in Europa: altre nazioni, infatti, prima di eleggere il presidente, neanche si preoccupano di queste pregiudiziali. Ma la nostra storia ci ha portato più avanti.

Anche la lotta per la candidatura, grazie alla Tv, entra in tutte le case. Ogni sera, grazie al Tg2, si sente suonare in strada il clacson della scrivania a rotelle ed ecco che entrano in casa tre direttori di giornale per tracciare l’identikit del presidente ideale. Tutti sono d’accordo sulla «grande svolta». Di Bella (Corriere) magari s’accontenterebbe di una curvettina e di un presidente tipo Videla. Per Letta (Tempo) basta che abbia stile e sappia giocare a golf. Scalfari (Repubblica) lo vorrebbe laico, o almeno che bestemmi quando guarda la partita. Vedremo cosa scriveranno se la «grande svolta» non ci sarà.

Per i de ci vuole «un uomo pulito al di sopra delle parti», magari, perché no, dei loro. Pattuglie della forestale hanno battuto in lungo e in largo la Maiella dove era stato segnalato un esemplare di democristiano di questo tipo; si trattava purtroppo di un bimbo di sei anni. Nel mare delle trattative, le dichiarazioni concordano comunque che il Quirinale dovrà essere «di vetro», la presidenza «limpida e cristallina» e la moglie del presidente una damigiana. Niente deve essere nascosto.

Ieri a Montecitorio si è svolto un vertice riservato, chi dice per l’ elezione del presidente, chi per l’ordine pubblico, chi per le nomine Rai-tv, chi per i turni di ferie. Forlani, sgusciando fuori dalla macchina, ha detto al microfono: «L’argomento è troppo delicato». Piccoli, mezzo fuori e mezzo dentro all’ ascensore, ha dichiarato: «è ancora presto per fare dei nomi» e l’ascensore è partito di colpo tranciandogli un baffo. Rognoni ha detto: «Il riserbo è d’obbligo». Andreotti ha ammesso: «Si è discusso positivamente», ed è fuggito in tunnel tra le gambe del cronista. Fanfani addirittura è rimasto muto e ha abilmente mimato un animale, forse un elefante, per far capire che c’era sotto qualcosa di grosso.

Mentre scriviamo, non sappiamo ancora cosa succederà e se ci sarà veramente la «grande svolta». Sappiamo però con certezza che, dopo l’elezione, il presidente, col discorso alla buona, entrerà nelle case degli italiani. Alcuni dei quali, dopo le ultime esperienze, ammucchiano mobili davanti alla porta. Ma niente paura: finora i presidenti non si sono mai fermati molto: prendono un caffè e poi vanno al Quirinale, dove per sette anni si fanno le cose loro. Però stavolta, se il nuovo presidente non sarà veramente nuovo, avrà molti problemi a fare il discorsetto tv: certe parole, ormai, sono state tanto usate e strapazzate, che quasi non si sentono più, neanche col volume al massimo.

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