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Agente Babbo Natale – Missione Speciale

PROLOGO

Se volete sapere con precisione dove inizia la nostra storia, cercate sulla
carta geografica la Groenlandia. Nella costa Est, proprio di fronte alle isole
Ellesmere c’è un paese chiamato Thule. A pochi chilometri da Thule
c’è un monte spazzato da venti gelidi, su cui resistono solo pochi abeti
contorti e tenaci. Alle pendici di questo monte c’è una grotta, detta la
grotta degli Orchi Rossi. Narra la leggenda che nelle notti d’inverno,
specialmente nelle imminenze del Santo Natale, dalle profondità di questa
grotta vengano rumori e risate, che il sottosuolo tremi come per un sabba
sotterraneo e che dall’entrata della grotta, all’improvviso, decollino astronavi
fiammeggianti che si perdono nel cielo artico. Leggende, come dicevo: tutti
conoscono il rumore che il vento produce mulinando nelle viscere delle grotte, e
tutti sanno che la Groenlandia è l’isola dei geyser sibilanti. Ecco
spiegati i rumori. In quanto alle “astronavi fiammeggianti”, chi ha
avuto la fortuna di assistere a quel magico spettacolo che è un’aurora
boreale, ne conosce bene i fenomeni: fantasmi di luce, riverberi accecanti che
saettano da una parte all’altra del cielo. Eppure, passando da quelle parti, la
curiosità animalesca mi spinse a dare un’occhiata. Mi presento: mi chiamo
Selma, e sono una volpe artica.

LA GROTTA DEGLI ORCHI ROSSI

Era una notte di dicembre, molto vicina a Natale. Il vento spazzava la difesa
gelata attorno al monte sollevando nuvole di nevischio come una gigantesca
scopa. Pur avendo regolarmente cambiato al Grande Supermarket della Natura il
mio vecchio pelo primaverile con un nuovo pelo bianco assai caldo, e pur
indossando un maglione di pura lana norvegese, avevo freddo. Mi infilai quindi
con piacere nella grotta, dove almeno ero al riparo dalle ruvide carezze del
vento. E qui ebbi la prima sorpresa.
Vidi nella neve molte orme di umani. E, cosa del tutto nuova per me, che
sono abilissima nel riconoscere e catalogare le orme (se no avrei già
lasciato tutte le zampe nelle tagliole!), esse erano tutte uguali, di uomini con
lo stesso numero di scarpa, il quarantasei, e dello stesso tipo di calzatura,
uno stivalone di renna cucito a mano. Inoltre appartenevano a persone più
o meno dello stesso peso: omoni di centotrenta e più chili.
Fu quindi con una certa cautela che mi incamminai in un lungo corridoio di
stalattiti, lussuoso e abbagliante come la hall di un grande albergo (non ne ho
mai visto uno, ma immagino sia così). E mentre mi avvicinavo alla fine
del corridoio, là dove balenava una luce rossastra, sentii chiaramente i
rumori, e non erano né il soffio dei geyser né il mulinare del
vento. Erano voci umane, battere di pietre e martelli e… cori! Sì,
sentii distintamente le parole di una canzone intonata da dieci vocioni
orcheschi.


Su bambini, su bambini
il sacco è pronto già
nella notte di nascosto
vi verremo a visitar…..

Ed ecco, nella fucina infernale, li vidi. Erano più di duecento, alti
quasi due metri, con grandi pance e braccia muscolose. Il fuoco arrossava i loro
visi mentre a petto nudo, sudati, martellavano e forgiavano come titani di
Efesto (ho fatto il Classico). Alcuni spingevano carrelli, altri azionavano mantici, altri tenevano in
mano corpicini ai quali staccavano gambe e teste, li colpivano col martello, li
inchiodavano ai tavolacci. Tutti avevano una folta barba bianca, baffoni e
capelli candidi, e in testa un cappello rosso a cono. Allora capii: avevo
scoperto il punto più segreto della terra, il covo dei Babbo Natale, la
Grande Azienda ove si costruiscono e si smistano i giocattoli per i bambini di
tutto il mondo. E qui il mio compito di narratrice si esaurisce: la volpe Selma
rubò un pezzo di salsiccia e se la svignò dalla grotta.

AGENTE ULF MISSIONE SEGRETA

Ulf Claus Gunvunssunsson era uno dei Babbinatali più vecchi ed esperti.
Aveva trecentosei anni e aveva portato giocattoli a migliaia di bambini, tra cui
alcuni famosi come Mozart, Hoffmann, Lamarck, la regina Vittoria, Coppi, il
cancelliere Bismarck, Pasteur, Aragon, Roosevelt, Rubick, Bob Dylan, Chinaglia,
Walt Disney, Satana Manson e Cossiga.
Per via dell’età era stato spostato da Consegnatore Volante a Controllore
di Qualità del settore giocattoli in plastica. Dopo anni e anni di voli
notturni era infatti pieno di reumatismi e la sua stazza era tale che non
riusciva più a scendere attraverso i camini. Attualmente stava
controllando una partita di Mostri Bavosi per i bambini austriaci, quando
sentì la voce dell’altoparlante.
– Il Babbo Ulf Gunvunssunsson è desiderato dal presidente.
Ulf lasciò il bancone, si allacciò il colletto della tuta rossa e
rispose al saluto di auguri dei colleghi incrociando le dita. Essere ricevuti
dal presidente, il Mammasantissima Natale, era un onore che capitava di rado, ma
poteva significare solo due cose: o una promozione, o la retrocessione a un
lavoro umile, come collaudatore di trottole o cuoco di pop-corn.
Fu quindi con una certa ansia che Babbo Natale Ulf salì la scala a
chiocciola che portava alla Grotta Suprema. Cercava di ricordarsi se negli
ultimi tempi avesse commesso qualche errore o gli fosse scappata qualche frase
irriguardosa.
Si ricordò che il mese prima, dopo una bella bevuta, aveva discusso coi
colleghi su una cantante italiana che interpretava il novantasette per cento
delle sigle di cartoni animati del suo paese. “Ma che rompipalle, questa
Cristina Semolina” aveva detto “ma chi ha dietro, il Vaticano?”.
Che Mammasantissima Natale lo avesse saputo?
Ma le paure di Ulf si dissolsero non appena il presidente gli venne intorno
sorridendo, e lo abbracciò. In fondo non erano passati che centocinquanta
anni da quando facevano insieme le consegne.
– Ti ricordi Ulf, quando capitammo in quella riunione con Lenin e ci spararono
scambiandoci per la polizia zarista?
– Certo, capo: e quando per sbaglio portammo i due bambolotti neri alla famiglia
Goebbels?
Risero abbondantemente e bevvero sei litri di kirsh e acquavite di lingam,
bevande preferite dei Babbi Natali. Poi, all’improvviso, il Mammasantissima si
fece serio, e posò la mano sulla spalla di Ulf.
– Vecchio amico – disse – ho bisogno di te. Di te e della tua discrezione.
– Una grana? Ancora cocaina dentro gli orsacchiotti?
– Peggio – disse il Mammasantissima indicando un grosso pacco coperto da un
telo – Una consegna non fatta. Non capisco come sia potuto accadere.
– Succede – lo rincuorò Ulf – Certo nella nostra categoria non consegnare
puntualmente un regalo natalizio è un errore gravissimo: ma avremo
sbagliato sì e no dieci volte in cento anni, e un piccolo ritardo non
scandalizzerà nessuno.
– Questo non è un piccolo ritardo – sospirò il presidente. Tolse
il telo dal pacco e apparve uno scatolone infiocchettato con la scritta: Italia,
1983.
– Per tutte le Palle del Grande Albero di Natale – disse Babbo Ulf – Dieci anni
di ritardo!
– Sì. Il massimo ritardo che si ricordi nella storia della nostra
azienda, è di due anni e stavolta questi dieci anni sono un autentico
scandalo. Se lo sapessero quelli della Dhl, o quel maledetto Spielberg, sarebbe
la rovina del nostro buon nome. Capisci ora perché ti ho chiamato?
– Credo di sì – disse Ulf ingollando due sorsi di kirsh – dovrò
consegnare quel pacco.
– Certo, ma di nascosto e facendo finta di niente. Partirai stanotte stessa.
– D’accordo. Chi è il destinatario?
– Ecco un altro problema – disse il Mammasantissima – l’indirizzo è quasi
completamente cancellato dalla maledetta umidità di queste grotte.
Sappiamo solo che il dono era destinato a qualcuno molto potente in Italia in
quegli anni. Leggi questo dossier durante il viaggio, trova qualcuno e
scaricagli il regalo giù dal camino. L’onore della categoria è
nelle tue mani – disse il Mammasantissima con gli occhi lucidi.
– Fidati di me, capo – disse Ulf infilandosi il dossier in tasca e allontanatosi
con aria decisa.
– Ehm… Ulf – lo bloccò la voce del Mammasantissima.
– Cosa c’è ancora?
– Prima di partire fatti una sauna. Sei così grasso che non passeresti
neanche attraverso il reattore di una centrale nucleare.

IL GARAGE DELLE SLITTE

Babbo Natale Ulf, col permesso di partenza firmato e timbrato, si
presentò al Parco Slitte. Non c’era più nessuno che conosceva.
C’era un garagista giovane di duecento anni, addirittura con la barba
grigia.
– Vorrei la mia slitta e le mie dodici renne – disse Ulf – la slitta si chiama
Pegasus BN 1765, e le renne si chiamano Wilma, Wotan, Wilhelmina, Wittgestein,
Wapiti, Whiskyagogo, Winona, Wilbur…
– Momento, momento, che targa ha detto? – lo interruppe il garagista
consultando un registro.
– Pegasus BN 1765.
– Come pensavo. Vede, il parco veicoli è stato rinnovato, e le slitte
fino al numero di targa duemila sono state sostituite. E anche le sue renne sono
in pensione. Abbiamo però dei nuovi modelli.
– Uhm – mugugnò Ulf, mentre il garagista lo portava in un hangar dove
erano allineate centinaia di slitte, di un tipo che il vecchio Babbo Natale non
aveva mai visto.
– Molto meglio di quelle dei suoi tempi – trillò il garagista – Le slitte
di legno si imbarcavano per l’umidità, si ghiacciavano, sbandavano col
vento. Guardi questo modello, la Nightfly 405. Otto cilindri, carrozzeria in
vetroresina, alettoni stabilizzanti, pattini con sospensioni, fari bicolori,
bocchettoni antigelo, altimetro, loran, quattrocento chilometri orari a una
quota di seimila metri, autonomia sedicimila chilometri, sedili
ribaltabili,…
– E le renne?
– Eccole qui. Finte, di lattice, aerodinamiche, indistruttibili, con sei
movimenti diversi, sembrano vere. Non mangiano, non cagano, non si ribellano e
da lontano nessuno si accorge della differenza.
– Voglio una slitta di legno e renne vere – protestò Babbo Ulf – non ne
voglio sapere di questa robaccia. E poi cos’è quella scritta
“Lego” sulla fiancata?
– E’ lo sponsor.
– Mi rifiuto! – gridò Ulf – Non volerò mai su quell’aggeggio!
– Allora resterà a terra – disse freddamente il garagista.
– Comunicazione per il reparto slitte – tuonò una voce dall’altoparlante
– qua parla il Mammasantissima. Verrà da voi tra breve un Consegnatore di
nome Ulf. E’ un gran rompicoglioni ma la sua è una missione speciale.
Deve essere accontentato in tutto!
– Visto? – disse Ulf soddisfatto.
– Al suo servizio – disse il garagista, ossequioso – vado subito a prenderle la
slitta. E per la muta, che ne direbbe di dodici bellissimi caribù
canadesi nuovi di zecca?
– No – disse Ulf – voglio le mie vecchie renne.

VERSO I CIELI D’ITALIA

Così, alla mezzanotte del ventiquattro dicembre, la Pegasus si
innalzò zigzagando nel cielo groenlandese con direzione Sud. Le renne non
erano più abituate a volare e il decollo fu molto faticoso. Wilhelmina
incastrò le sue corna con quelle di Wupperthal, Wilma inciampò e
restò appesa a testa in giù mentre Wotan, sbilanciato, le
scalciava in pancia. Ma Ulf non si perse d’animo, e con l’esperienza
bicentenaria di astropilota, rimise le renne in fila con quattro decisi
strattoni di redini.
– Wotan, più a destra. E tu, Walkrieg, più energia!
– Wotan fa il furbo, si appoggia – si lamentò Wapiti.
– Io? Sei tu che non sai più volare – disse Wotan.
– Ho mal di schiena, andate piano – mugolò Wanda.
– Quando si mangia? – chiese Waldemar.

L’ALBERGO DELL’EMIRO

Erano le quattro di notte quando Babbo Ulf arrivò sull’Italia. Durante il
viaggio aveva letto il dossier sugli anni Ottanta e si era fatto un’idea su chi
era stato potente in quel fosco periodo. Si diresse quindi senza esitazione
verso la capitale del paese, e precisamente verso un leggendario albergo, una
reggia a sette stellette ove aveva vissuto un potentissimo emiro di quei tempi.
Lì sperava di poter consegnare il pacco. Atterrò con qualche
difficoltà sul tetto dell’albergo, perché era tutto disseminato di
antenne, alcune a forma rotonda mai viste da Ulf, e c’erano telecamere e
cannoni, che sembravano far parte di qualche sistema difensivo in disuso. Babbo
Ulf scaricò il pacco dalla slitta con ogni cautela. Era molto pesante e
dall’interno proveniva uno strano rumore, come di un orologio, e un ronzio
misterioso. Certo quel dono doveva essere stato molto ambito e prezioso, tanti
anni prima. Mentre le vecchie renne, stremate dalla fatica, si rifocillavano con
panini al muschio e tisane di lichene, Babbo Ulf si scolò mezza fiasca di
kirsh e si infilò risolutamente, pacco in spalla, dentro il camino. Ebbe
qualche problema all’inizio, poi a spallate e ancate riuscì a passare e
piombò pesantemente nella stanza.
Gli si presentò uno spettacolo desolante: calcinacci, sporcizia, cattivo
odore. Tutto parlava di un fasto passato, di feste e baccanali, di un immenso
antico potere. Ma ahimè, erano rimaste solo macerie.
Il grande letto a baldacchino era roso dai topi e qua e là erano sparse
vecchie giarrettiere, fruste e vibratori tricuspidati. Sulla tavola da
banchetti, lunga decine di metri, restava solo qualche piatto rotto e una
tovaglia consunta. Ai muri, scritte oscene e le macchie bianche dei quadri
portati via. In fondo alla sala spalancava le fauci una cassaforte di dimensioni
colossali. Un vero altoforno, che doveva aver contenuto chissà quali
cifre e tesori. Ora era vuota e polverosa, e i ragni vi tessevano le loro trame
di tele.
– C’è nessuno qui? – scandì Ulf nel silenzio tombale. A quelle
parole da sotto il tavolo sbucò un uomo scheletrico ed occhialuto. Gli
occhi febbrili e i gesti concitati portavano il marchio inconfondibile della
follia. Tra le mani, stringeva una fotografia ingiallita.
– Cosa cerca, di che procura è? – strillò l’uomo – abbiamo
già detto tutto, non c’è più niente qui, abbiamo restituito
tutto, anche lui non c’è più, se volete recapitargli un altro
avviso vi do’ l’indirizzo ma non c’è, è partito, la vostra
malvagità l’ha fatto fuggire!
Babbo Ulf capì che con il termine “lui” il pazzo si riferiva
all’uomo della fotografia. Fece un gesto rassicurante con la mano e disse:
– Non sono di nessuna procura. Devo solo recapitare un pacco dono. C’è un
lieve… ehm… ritardo di dieci anni, ma penso che lei comprenderà e non
renderà pubblica la cosa…
– No, basta! – urlò l’uomo – non so chi la manda, ma non ne prendiamo
più. Vada via lei e i suoi soldi. Siamo già abbastanza
compromessi.
– Ma il mio presidente…
– Porti via quel pacco e non si faccia più vedere – urlò l’uomo,
estraendo una pistola. Babbo Natale Ulf risalì il camino assai più
velocemente di come era sceso. Ancora col fiatone, svegliò a calci le
renne e ripartì a tutta birra. Non era cominciata bene. Ma aveva una
missione da compiere, e per Wotan, l’avrebbe portata a termine.

LA STANZA NERA

Il secondo obbiettivo di Babbo Ulf era un vecchio palazzo ove un uomo molto
astuto, con fama di negromante, aveva regnato più o meno in quegli anni.
Questa volta fu molto più facile passare per il camino, ma la stanza ove
Ulf sbucò non era meno sinistra della precedente. Un salone di marmo
nero, con crocefissi alle pareti e un tavolo ovale al centro. Sui muri, fori di
proiettile, e bossoli sparsi sul pavimento. C’era stato certamente un
regolamento di conti, là dentro. Ai lati della sala c’erano vasche di
acido dall’odore nauseabondo. Babbonatale ci fece cadere dentro un pezzetto di
legno che si dissolse in pochi istanti.
– Ma che razza di posto è questo? – disse, sedendosi sul pacco.
– Non c’è nessuno qui – disse una voce nasale proveniente dal
soffitto.
– Come non c’è nessuno?… Senta lei, io dovrei consegnare un pacco
dono.
– Lo consegni in America, alla solita pizzeria. Siamo momentaneamente chiusi.
Appena ci riorganizzeremo e riprenderemo la nostra attività le
comunicheremo i nostri nuovi recapiti. Non lo dica a nessuno che ci ha
visto…
– Ma io non vedo un bel niente… e le ripeto, ho un pacco per voi!
– Se è un cadavere lo metta pure nell’acido.
– Ma che cadavere – disse Ulf esasperato – Sono giocattoli. Giocattoli di
Natale!
– Questo è un nastro registrato – proseguì monotona la voce – ha
trenta secondi per lasciare un messaggio che verrà registrato e poi usato
per ricattarla. Noi non la conosciamo, lei non ci conosce. Quanto prima
riprenderemo l’attività e le comunicheremo…
– Ma andate a farvi benedire – disse Babbo Natale spazientito, voltando le
spalle.
– L’abbiamo fatto ma non è servito – rispose la voce misteriosa.
Certo, sembrava proprio un nastro registrato, pensò Ulf mentre risaliva
la cappa del camino. Eppure, per un attimo, gli parve di vedere un’ombra nera,
come un gigantesco pipistrello, pendere dal soffitto a testa in giù.

LA CAPITALE MORALE

Albeggiava. Babbo Natale, sdraiato su Wanda, la più paffuta delle renne,
cercò di fare il punto della situazione.
– Per qualche motivo, nessuno in Italia vuole sentire parlare di quegli anni.
Hanno tutti un gran paura. Sarà più difficile di quel che credevo.
Ma forse ho sbagliato obbiettivo.
– Questa non è più la capitale del paese. Là nel nord
c’è la capitale morale, una città fredda e operosa, governata da
uomini probi…
– Amsterdam? – disse Whiskyagogo.
– No. Altro è il suo nome. Là noi consegneremo il pacco!
Giunsero all’operosa città in meno di due ore di volo. Era già
mattina e tutti erano desti e intenti a timbrar cappuccini e archiviar brioches.
Interminabili file di macchine si dirigevano lentissimamente verso i gangli
industriali, i fumi delle ciminiere oscuravano il cielo. Schivando gli aerei
fitti come mosche, Babbo Ulf guidò le renne fino a un vecchio cascinale
in periferia. Qua tutto era come ai vecchi tempi, pensò Ulf. Il tetto coi
coppi un po’ smossi, il gallo segnavento, un bel camino in muratura, gatti
peripatetici sulle grondaie. Un buon odore di polenta usciva dal camino.
Babbonatale piombò dentro e schivò il paiolo con una abilissima
capriola. Quando si rialzò in piedi, aveva un fucile con baionetta
puntato sul naso.
Un uomo occhialuto, stralunato gli gridava con foga da ossesso insulti
incomprensibili. Babbo Ulf parlava trecento lingue, compresi i dialetti
eschimesi e amazzonici, ma non aveva mai sentito suoni gutturali di quel tipo.
Poco alla volta, mentre l’uomo esauriva l’impeto, gli sembrò di
riconoscere in quella lingua un longobardo pidginizzato con termini latini,
parole inglesi manageriali e politichese tardoscelbiano.
– Cosa ci fai qui provocatore, chi ti manda? – disse più o meno
l’uomo.
– Porto un pacco dono – rispose Ulf.
– Non ci casco – disse l’occhialuto – me lo molli qui e poi tra un’ora entra la
finanza e ci trova dentro eroina cocaina o soldi, non ci incastri, siamo pirla
solo quando ci serve, barbone comunista!
– Non sono comunista.
– E allora il vestito rosso?
– E’ il mio abito da lavoro. Tutti lo usiamo, lassù nel profondo
nord.
– Lassù nel profondo nord? – disse l’uomo, improvvisamente placato –
Molto nel nord?
– Certo, in Groenlandia. Nel posto più a nord che c’è.
– Vuole dire – disse l’uomo spalancando gli occhi – più a nord di
Sondrio?
– Molto di più.
– Ehi barbone – disse l’occhialuto dandogli una vigorosa stretta di mano – ma
allora sei dei nostri. Ehi ragazzi, venite qua, c’è uno che abita a nord
di Sondrio. Cosa posso fare per te nonno?
– Te l’ho detto, accetta questo pacco dono. E’ del 1983.
– Non posso, siamo accerchiati. E poi in quegli anni imperava in Italia la
vecchia mafia partitocraticodemoplutogiudaica, e noi siamo il nuovo.
– Ma per Wotan – disse Babbo Ulf, nuovamente deluso – ma non c’eravate anche voi
in quegli anni? Non vi accorgevate di cosa stava succedendo?
– No – disse l’occhialuto – io dovevo tenere dietro all’orto. Lui andava avanti
e indietro da Lodi. Lui non stava bene. Il nostro ideologo sgozzava gatti a
pagamento…
– E qualcuno magari stava in Ordine Nuovo…
– Eccolo lì il provocatore che si è smascherato – urlò
l’occhialuto, sparando un colpo che sibilò vicino all’orecchio di Babbo
Natale – ecco lì la carogna traditrice della sua latitudine, il terrone
artico, il marocchino eschimese!
Babbonatale neanche rispose. Si diede a una terza precipitosa fuga, e
spronò le renne nel cielo nebbioso, finché dovette rallentare,
intrappolato in una nuvola di smog. Poco dopo, a un miglio di distanza nel
cielo, sentì il rumore di un aereo…

IL CAVALIER CAPITONI

L’aereo era rosso e nero, tutto tappezzato di scritte di sponsor. Avvicinandosi si poteva
vedere, attraverso il finestrino, un interno lussuoso con moquette, lampadari,
quadri uno sull’altro, vasche da idromassaggio, alani di marmo, televisori
incrostati di conchiglie. Ovunque il simbolo dell’anguilla incappucciata, il
marchio del cavalier Capitoni, uno degli uomini più potenti dell’Italia
anni 80.
– Una consegna in volo – gridò Ulf alle renne – l’ho sempre sognata ma
non ci sono mai riuscito! Forza, belle, abbordate quell’aereo!
Non fu facile. Il jet andava veloce ma le renne, spronate nell’orgoglio,
iniziarono a vorticare le zampe, alcune ritrassero addirittura le corna per
essere più areodinamiche, e dopo una titanica pedalata raggiunsero
l’obbiettivo. Babbo Ulf picchiò con le nocche sul finestrino. Vedendolo, il cavaliere,
un uomo calvo con i capelli disegnati col pennarello, iniziò a
gridare:
– Un cosacco! Su una slitta a cavalli! Sono arrivati fin quassù!
Aiuto.
Subito apparvero due o tre gorilla armati di mitra. Ma anche i gorilla sono
stati bambini e uno di essi disse:
– Ma no cavalier Capitoni, non vede che è Babbo Natale?
– E io dovrei credere che esiste Babbo Natale?
– Se la gente deve credere che lei è un imprenditore democratico e onesto
che si è fatto da solo senza ruffianare i partiti, può credere
anche a Babbo Natale – rispose il gorilla. Poco dopo, precipitava negli spazi
celesti.
– Vuole rallentare o no? – gridò Babbo Natale, aggrappato a un’ala.
– Non posso pagare – disse Capitoni – e comunque non ricevo i creditori a
seimila metri di altezza.
– Devo consegnare dei giocattoli…
– Per i miei magazzini? Bene. Però l’avviso che posso pagarla solo con
degli spot. O preferisce biglietti omaggio. O la collezione completa delle sigle
di Cristina Semolina? Centoventi cassette più un puffo tostapane…
A quel nome Babbo Ulf si sentì quasi mancare. Ma tenne duro e
gridò:
– E’ un pacco pregiato, del 1983…
– Non pago i debiti del mese scorso, si figuri quelli di dieci anni fa. In quei
tempi ero solo un modesto riciclatore piduista. Mi lasci fare il mio partito in
pace.
Babbo Ulf capì che neanche quello era il suo uomo. L’aereo si
allontanò nella nuvola di smog.

LA GRANDE FESTA

Fu così che, ancora una volta deluso, Babbo Ulf atterrò con la
slitta su un prato ricco di rucola, e mentre le renne brucavano come
falciatrici, si mise a riflettere se non fosse il caso di arrendersi. Ma gli
venne vicino la vecchia e saggia renna Wittgenstein, bianca come la neve, e
così parlò:
– O mio depresso auriga. Io credo che cotesto pacco da consegnare ricordi agli
italici un periodo orribile della loro storia, dai cui mostri si sono in parte
liberati, ma di cui nessuno vuol sentirsi responsabile. Anzi tutti ne vorrebbero
uscire nuovi e redenti. Basta guardare! Sui teleschermi, il tempo lasciato
sembra inversamente proporzionale al talento e all’intelligenza del parlante.
Gli stessi giornalisti che un volta esaltavano il Gran Palluto ora lo
sbeffeggiano. Coloro che con deferenza ospitarono Belzebù sui loro
giornali ora fingono di non conoscerlo. Comici e scribi solo ora si accorgono
con orrore di quanto fascistone fosse il Cavaliere lor padrone. C’era un regime,
ma niuno se n’era accorto, e chi allora sosteneva ciò veniva bollato come
estremista e bombarolo. Mi dia ascolto, nessuno vorrà più quel
pacco. Bisognerebbe farci i conti per davvero, e nessuno…
– Zitto – disse Babbo Ulf. Da una villetta vicina sentiva venire un gaio rumore di
canti, balli e frizzantini stappati. Babbo Ulf accostò il nasone alla
finestra e vide un raduno di persone festanti. Al centro c’era un uomo baffuto,
dall’aspetto simile a una foca groenlandese, col calice levato mezzo a una folla
plaudente. Al muro era appeso uno striscione: “Viva i sindaci!”. I
sindaci stavano fianco a fianco, sommersi da manciate di coriandoli. Erano
cinque: tre intelligenti, uno ricco, e uno bello. E tutto intorno a festeggiare
c’erano seri funzionari e allegri fans, gente che si era fatta un culo
così per anni e gente che s’era impegnata due ore prima delle elezioni,
militanti severi e capitonisti riciclati, zoccolo duro e mocassino flessibile,
onesti e quasi, agorofili e narcocatodici, gente che c’era quando le cose
andavano male e gente che era arrivata quando le cose si erano messe bene, gente
che avrebbe lottato fino all’ultimo e gente che se la sarebbe svignata alla
prima crepa. Ma la speranza forse avrebbe reso tutti migliori, e poi squadra che
vince non si cambia.
– Ci attendono tempi duri – disse la foca – ma ci siamo conquistati il regalo di
questa fiducia, e dobbiamo esserne degni!
In quel momento dal camino piombò giù il pacco dono, sollevando
una nuvola di cenere. Subito tutti si precipitarono alla porta per vedere chi
fosse il mandante, ma non videro nulla, solo strane orme di zoccoli.

FINALINO

– Non so se quei signori saranno contenti del pacco – disse Wynona a Babbo Ulf,
mentre sotto di loro apparivano maestose le Alpi.
– L’onore dei Babbinatali è salvo – disse Ulf – E poi, come ha detto il
signore baffuto, i regali bisogna meritarseli!
E ridendo soddisfatto, spronò le renne e valicò il Cervino,
tuffandosi nel tramonto con una spettacolare virata.

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