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Abbonatevi, contro il Vischioso Velcrone

Come sta la grande informazione italiana? Bene, siamo al cinquantesimo posto nelle classifiche dell’osservatorio internazionale, ma manteniamo un certo vantaggio sulla Birmania. Un giornalista italiano su due è pagato direttamente o indirettamente dal boss di Arcore, l’altro è strangolato dal ricatto della sua pubblicità. In più, il padrino regala ai suoi insaziabili maggiordomi rubriche televisive e ore di palinsesto. La televisione è ormai una cosca mafiosa in cui una ristretta cupola di mammasantissima si genuflette davanti ai ministri, si scambia sempre gli stessi ospiti, si intervista reciprocamente. Tutti urlano, si interrompono, litigano e berciano in coro, ritenendo ormai la televisione il loro salotto privato. Moderatori-aizzatori ipocriti sorvegliano che si insulti chiunque, ma non il ducetto. Alla vecchia velina democristiana è subentrato il velcrone azzurro. Oggi per velina si intende una bella ragazza più o meno ballonzolante. Il velcrone azzurro, invece, non è un uccello raro, ma un comunissimo esemplare della classe degli arrivisti, sottoclasse lecchini. Il suo esoscheletro non è di sottile carta velina, ma di solido moderno velcro. Da una parte finge di essere un giornalista liscio e obiettivo, dall’altra si attacca vischiosamente al governo e ai potenti di turno, e non si stacca più. Velcrone principe è naturalmente Bruno Vespa, che passa interi pomeriggi sui vari canali, a parlare del suo libro mal scritto, servile, noioso e banale (e sto parlando dei pregi, direbbe Luttazzi). Ma ci sono anche Cattaneo il Velcrone censore, Confalonieri, il velcrone mangiaspot, le Velcrone presentatrici e i Velcronielli comici, oltre al Velcrone arraffacariche Luca di Montezemolo, tanto corteggiato dalla sinistra. E’ tutto uno svolazzare di Velcroni, una nube che oscura persino le schifezze paleodemocristiane.
La cosa non è certo nuova: non solo Bernabei, ma anche Zaccaria distribuiva con cura i posti e lasciava fuori gli scomodi. Però qualche volta contava anche il talento o la qualità; ma il talento è proprio ciò di cui la moderna mafia dell’informazione ha terrore. I picciotti devono essere obbedienti e stupidi come i loro capi, con l’eccezione di Gasparri che è meta irraggiungibile per chiunque.
Cosa mette in atto la sinistra ufficiale contro la loggia dei Velcroni? Sente la responsabilità di difendere la maggioranza del paese dall’arroganza di questa cosca sempre più ristretta? Sembra di no. Gli imprenditori illuminati hanno forse rischiato qualche soldo per costruire una televisione di opposizione? Sono nati a raffica nuovi quotidiani e nuovi settimanali? La Rai e Mediaset sono percorsi da scioperi e cortei?
No, sono sempre gli stessi di qualche anno fa a opporsi. Di nuovo ci sono i mediattivisti su Internet, qualche piccola rivista coraggiosa, qualche editore di libri, qualche artigianale tentativo di tivù libera. Ma la sinistra ufficiale preferisce continuare a chiedere l’obolo di una vicepresidenza, o a piatire un’intervista in prima serata, quella non la si nega neanche a Bordon. E aspetta le elezioni, magari per velcronare a sua volta.
Ecco perché abbonarsi al manifesto. Potete criticarlo quanto volete, ma il manifesto è ancora lì, al centro della barricata, come una volta. Un po’ rintronato dai colpi, ma sveglio e arrabbiato. Niente che gli assomigli è ancora nato. E’ ancora unico, nella durata, nell’anomalia, nella libertà e nell’esperimento. Se la sinistra non accetta la sfida dell’informazione, il manifesto continua a provarci. E’ poco? E’ molto? E’ molto meno di quello che ci vorrebbe, ma è moltissimo.
Perciò abboniamoci.

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