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Ontosofia del doberman

Intervista esclusiva con Hans Pahniermelsky, pensatore di destra recentemente rivalutato dalla sinistra. Prolegomeni a una Gelassenheit.

Hans Pahniermelsky è un pensatore di destra recentemente rivalutato dalla sinistra, che rilegge con attenzione le sue opere, fino a qualche anno fa ritenute inaccettabili e provocatorie. Nato nel 1908 in Transilvania da genitori russo-tedeschi, fiancheggiatore del nazismo in modo assai ironico e originale, dopo la guerra ha insegnato Storia delle dottrine politiche all’Università di Asunción in Paraguay. Dieci anni fa è tornato in Europa, in un paesino della Baviera dove possiede un allevarnento di dobermann. In questo periodo alcuni editori hanno ristampato le sue opere, specialmente Il sadismo della politica (1942) Tantra e Dialettica (1946) e soprattutto il discusso L’etica nazista e il caos orfico (1958) che gli attirò a lungo l’ostracismo della cultura progressista. La stessa cultura che oggi studia e discute appassionatamente l’ontosofia di questo singolarissimo pensatore. Questa conversazione, ottenuta in condizioni assai difficili (chiusi in una gabbia circondata da cinquanta dobermann nervosissimi) è la prima intervista che il filosofo concede a un giornale italiano.

– Professor Pahniermelsky, cosa significa per lei oggi il termine “sinistra”?
– Porre domande come questa è come richiedere una diagnosi scientifica su una panoplia di sintomi allucinatori e morbosi diversi, è come chiedere di che colore è la morte. Ma io non ho alcuna paura delle domande assurde, in quanto non ho alcun rispetto delle domande logiche. Quindi le risponderò subito che la “sinistra” non esiste. Riguardo al passato, è un’inestricabile aporia di illusioni rivoluzionarie e delusioni sanguinose, è un plesso tra la presunta percezione dell’ingiustizia e un concetto statuale già guasto e putrescente nel momento stesso in cui si “incide” in traccia storica. Non esiste nulla “di sinistra” nella storia, in quanto non esiste dialettica, ma solo il dominio dell’informe e il contro-dominio del tantra, ovvero del mio pensiero individualizzante. Riguardo al presente, poi, la sinistra è una neotenia breve e assurdamente felice, un’infanzia che si spezza e corrompe nel momento stesso in cui pronuncia parole come “giustizia” e “libertà”. Riguardo al futuro, il senso di ciò che accadrà è il senso di rotazione di una galassia implodente al centro, quindi di sinistra se muoviamo da destra, ma di destra se veniamo da sinistra, il tutto disturbato dal rollio di continue oscillazioni semantiche e sprofondamenti metafisici, che causano una motalgia del sensorio interpretativo non curabile con l’antistamina dell’hic et nunc. Se tutto tende al centro, tutto è già destinalmente ed epocalmente centro, se tutto va seguendo l’economico, ciò che l’ecos porterebbe a sinistra il nomos ricondurrà a destra, e ne nascerà una traccia bustrofedica fondamentalmente inseminabile di senso ideale. ln quanto al cosiddetto “futuro virtuale” esso è già spazialmente neutralizzato dal suo atto creativo, non si va “verso” ma “facendosi verso” e perciò non vi è alcuna differenza tra Internet e Interioritas.
– Potrebbe chiarire quest’ultima asserzione?
– Nemmeno per sogno.
– Ma se non esiste la sinistra, che politica dovrebbe perseguire una formazione che si dice di sinistra?
– Ecce iterum, aridaje, come diceva Sant’Agostino. Se non esiste sinistra non esiste neanche politica. La politica è la tecnica statuale di rendere impossibile ogni intervento politico. Mi spiego (anche se epistemologicamente mi fa orrore spiegarmi): compito dello Stato non è risolvere i problemi, ma diffonderne la complessità e la irrimediabilità, in modo che il cittadino, oppresso e frustrato da uno Stato presente/assente, abbia nella condizione di sfiduciato e “scampato” l’ultima difesa. Si senta cioè due volte graziato, dal dolore e dalla frustrazione della non-cura, divenendo, proprio come lo Stato, irriconoscente e irresponsabile dei suoi atti e delle sue parole, poiché se fosse responsabile, giudicherebbe lo Stato e “prenderebbe misura” della sua solitudine ideale.
– Se ho ben capito…
– Lei non deve capire, deve “scampare” al capire: compito della politica non è far “vivere insieme” i cittadini, ma separarli continuamente in sottocategorie di frustrazione reciproca, gli scioperanti e gli utenti, gli automobilisti e i vigili, i cassieri e i pensionati. Fino a creare il cittadino ideale, che vive il rilassamento, la Gelassenheit, in una contrada “in cui noi soggiorniamo, e non v’è nulla da rispondere di…” nulla di cui assumere la responsabilità! Felice il cittadino che vive “insieme” la sua integrità di scontento e di creatore di scontento: evade le tasse ma protesta contro l’evasione fiscale, è contro l’inquinamento ma ha tre auto, è contro la violenza ma gira armato, non è razzista ma odia il vicino di casa, non tira le pietre sull’autostrada ma guida ai duecento ubriaco, odia chi ruba ma ruba quotidianamente. Questo è l’esempio che lo Stato dà e il cittadino segue.
– Ma gli ideali…
– Non dico che lo Stato non debba parlare di ideali. Ma li deve lanciare, come missili, come fuochi pirotecnici, e guai a seguirli. Devono partire verso cerimoniali, utopie, ucronie, eterotipie lontane. Appena accesa la miccia bisogna allontanarsi, e tornare là dove lo Stato e la sua Bocca Televisiva promuovono parole d’ordine di sostanziale egoismo, bassezza e rassegnazione. Guai allo Stato che rinunci non dico alla neutralità, ma all’ostilità verso il migliorarnento sociale! Invece di un paese governabile nella rassegnazione, dovrebbe affrontare un paese ingovernabile nella speranza.
– In politica dunque, non esistono idee?
– Guai! La politica è l’ordine pietrificato della verità dei bisogni e delle idee, così come la televisione lo è dei sentimenti e delle diversità. Ma attenti! Il caos orfico della società desiderante è sempre in agguato. L’uomo forte, pastore dell’essere, deve scatenare i cani della paura contro il gregge dei governati, guai a far entrare una sola stilla di delirio, perché il delirio esclude la ragione più di quanto la ragione possa escludere il delirio. D’Alema delira ma ha ragione quando parla di “suicidio” della sinistra, perché chiunque farà seguire a parole esemplari azioni esemplari non può che morire, poiché il gesto (da gerere, portare), nel momento in cui “porta” luce, annichila e cancella.
– E sulla violenza?
– La violenza non può essere esorcizzata perché non è testuale ma contestuale, quindi uscendo da un corpo, entra automaticamente in un altro. E’ piacevole, ma facile, scrivere e fare film e dibattere sulla violenza, godendo della libertà di stare lontani, e di non subirne il pondus, come i deboli. Nemmeno possiamo liberarcene artisticamente rifutando il ricatto della pietà, il vecchio “assommons les pauvres” baudelairiano. Bisogna effettivamente bastonare i poveri, o presto prenderanno loro in mano il bastone! Nel duemiladieci ognuno di noi godrà di dieci minuti di esecuzione. Ma non ci sarà altro ruolo che vittima o carnefice, a noi scegliere! Questo anche la sinistra comincia a capirlo, infatti, si occupa di economia e giustizia solo nel momento in cui assolvono o condannano, non nella “sofferenza” del dover essere vere e utili. Certo, continuate i vostri piagnistei sulla pena di morte, ma sono patetici, come quelli sull’Olocausto: se aveste lasciato vincere Hitler ora avreste un vero e sentito antinazismo. La responsabilità del revisionismo storico e del neonazismo è della sinistra, che ha combattuto la possibilità di vivere da “scampati” un’estetica pangermanica più goliardica che aggressiva. La sinistra fa bene a frequentare gli stessi cimiteri televisivi e gli stessi salotti della destra, perché solo così può ribaltare il ricatto dell'”essere sinistra” e togliere alla destra ogni spessore fascinatorio. Bisogna essere fortemente di destra per essere custodi di una prospettiva di sinistra, ma poiché una prospettiva di sinistra, come ho detto prima, è impossibile, bisogna essere di destra e basta…
– Ecco, su questo punto alcuni flosofi di sinistra hanno espresso un garbato dissenso…
– Come nel motus primus universale, è inutile dis-sentire su cosa è accaduto nei tre secondi “dopo” la nascita del cosmo, il problema è dis-sentire sui tre secondi prima, e poiché di essi ci sfugge l’appropriamento fontale, accogliamo il tantra del dominio che fa sfolgorare l’assenza eroica del senso, e respingiamo la dialettica che avvicina la presenza del senso col suo contagio di peste.
– Mi scusi, ma non la seguo…
– Neanch’io mi seguo, io mi “rifletto” in quanto sono sempre “davanti” al mio pensiero, quello che lei vede è l’orma del mio pensiero, il segno dell’artiglio da cui lei immagina il mostro, ma il mostro è lei, il debole vittimismo del pensiero parassitario, che insegue, per-secutorio, il pensiero-servo della sinistra, o sindestra, come preferisce…
– Un’ultima domanda riguardo ai termini “maggioranza” e “opposizione”.
– Le risponderò con una storiella yiddish: dunque, ci sono due ricchi mercanti di nome Franz e Hermann…
– Mi scusi, ma non mi sembrano nomi appropriati…
– Odio pronunciare nomi ebraici… allora, Franz ed Hermann vogliono giocare a scacchi e devono decidere chi farà la prima mossa. Franz dice: i casi sono due…
– Sì, e allora?…
– Allora basta! La storia finisce qui. Le mie storie, come la mia ontosofia, hanno solo il centro, l’inizio è una pura formalità conversativa, la fine è persa nel tantra del dominio che fa sfolgorare infiniti esiti diversi.
– Però, se lei mi spiegasse…
– Se ne vada o slego i cani.
– E stata una conversazione molto interessante. La ringrazio, professor Pahniermelsky.
– Grazie a lei e mi saluti MicroMega.

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